Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.
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lunedì 13 aprile 2015

Loris Dogana. Fantasia a ore.

link: http://wsimag.com/it/arte/14364-loris-dogana






Non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stata che sarebbe sembrato loro essere altro.
(Lewis Carroll)

Illustratore, attore, tatuatore. Fantasia a ore. Un cappello senza testa, perché di teste nei suoi disegni non ce ne sono mai. Sono perse chissà dove senza fissa dimora. I grandi maestri sono stati Magritte, Klimt e Gong Xian. 
Non è difficile immaginare la pioggia di uomini che cadono dal cielo. E come René affermava "La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione". Una linea sottile, decisa ed elegante, la sua fedeltà. Senza troppe profondità, ereditata da uno sguardo verso l'Oriente. Un mondo surreale e capovolto, dove "Tutti chiedono a Cappellosenzatesta perché disegna degli uomini con la testa sostituita da oggetti, ma nessuno gli chiede perché disegna degli oggetti con degli uomini attaccati sopra".

Le nostre abitudini e costrizioni sociali si sostituiscono alla nostra testa per mostrare le cose che siamo. E cosa siamo? Elucubrazioni da Brucaliffo a parte, Dogana elegge i suoi personaggi protagonisti assoluti in uno spazio completamente bianco, vuoto, pulito, terso, sono pochi gli oggetti tra gli oggetti. Oggetti pesanti e pensanti, corpi manichini svuotati e ripetitivi come prodotti di consumo su larga scala. Torna alla mente il famigerato video The Wall dei Pink Floyd dove umani in serie marciavano sincronizzati verso la fine. Gli eroi di Dogana non sono che sconfitti del sistema inglobante, tra malinconia e rassegnazione, ritrovano riscatto nell'assurdità dell'esistenza bidimensionale della fantasia su carta, che scricchiola come assi di legno di un palco teatrale.

I drammi ironici inscenati dal nero grafite non sono in realtà (sempre che si possa usare questo termine) che acute critiche sociali, dalla speculazione del tempo, del denaro, delle abitudini tecnologiche, dal capitalismo, alla religione. Dal potere e del controllo al quale veniamo sottoposti come dentro un frullatore sadico e spietato. Come in Loop, corriamo nel riflesso ripetuto di un giro autoreferenziale. Tutto torna incessante senza il tempo del pensiero. Come automi senza critica. E se la differenza può innescare più esplosioni, ben venga, come in Be different #2 tra un esercito ben allineato di teste di bombe spunta accesa la testa di un cerino incravattato e pronto a distinguersi o estinguersi, solo ai posteri coraggiosi l'arduo finale.

E Alice oggi, riesce ancora a oltrepassare lo specchio? Vede aldilà di ciò che trova? L'infanzia crede ancora a sei cose impossibili a colazione? E' così che in La Gabbia una bambina in punta di piedi sul bianco di un'idea libera i volatili dalla testa-gabbia. Quanto costa un sogno? O meglio il risveglio da esso? Quanto è dura vivere una vita non propria? Quanto è difficile assomigliare a ciò che si vorrebbe essere? Alzandosi sul precipizio di una tazza di tè, ( il tè dei matti?) l'uomo dalla testa di zolletta zuccherata è sul Patibolo pronto a lanciarsi dalla punta di un cucchiaino ancorato a una bustina. Una triste, folle storia di milioni di momenti quotidiani, che almeno ognuno di noi ha passato, tra la stretta di una tazza, l'attesa e un soffio per sbollire la bevanda.

Dogana sa anche intingere la propria ironia noir in un angolare, se non singolare romanticismo, come in Fatta l'una per l'altra. Una panchina è il non luogo per questa volta, agli estremi due timidi personaggi, la donna testa di sigaretta e l'uomo testa di accendino. E' giusto bruciarsi per i propri vizi, e cosa di più vizioso, dell'amore? Cosa di più soddisfacente, di fumo d'amore che consuma e nuoce? In Per Rick l'uomo dalla testa annaffiatoio è impiccato al ramo di un albero che lui stesso sta innaffiando, che il progresso sia il regresso? Che la continua crescita sia sinonimo a un certo punto dello sviluppo umano della decrescita?

Tante domande. E vedo in chi sta leggendo queste righe non più teste ma punti interrogativi. Da qualche parte chissà dove, insieme alla testa ho perso le risposte. L'effetto Dogana contagia a macchia d'inchiostro, sempre chiaro in bianco e nero. Mescolando in uno sciroppo surreale due poesie, concludo con una parte di Montale e una di De Gregori, per una conclusione-ritratto dell'artista.

Spesso il male di vivere ho incontrato e me ne sono andato con la mia valigia d'attore...

Federica Fiumelli








giovedì 5 giugno 2014

KayOne - Feel Alive -


dal 17 Maggio al 21 Giugno 2014

http://www.spaziosangiorgio.it/mostre/item/feelalive-kayone.html

“L’uomo ama talmente l’uomo che, quando fugge la città, è ancora per cercare la folla, cioè per rifare la città in campagna.”
(Charles Baudelaire, Il mio cuore messo a nudo, 1859-66)
Urbanesimo, associazionismo, cultura, comunità, megalopoli, caos, ma anche interstizi, margini, confini, periferia.
La materia viva della vita, quella calpestabile e democraticamente fruibile, è quella della quale da sempre si è occupata la Street Art.
Una bomboletta in mano e una valigetta stracolma di una potenza di visione esplosiva nell’altra, KayOne, uno degli Street Artist italiani più famosi riesce anche su supporti come la tela a trasporre tutta la forza del caos stradale.
Con un quarto di secolo di esperienza nel writing, osservando i numerosi sketch di preparazione che hanno trovato poi realizzazione su vari muri, si capisce subito la grande passione, la costanza, la ricerca sulla lettera e sulle illustrazioni classiche di ispirazione alla cultura Hip Hop.

Schizzi, abbozzi, “con la testa rivolta al futuro e gli occhi rivolti al passato” come de Chirico metafisicamente sosteneva, KayOne si confronta con il linguaggio delle avanguardie, cattura elementi innovativi, li prende, li sequestra e li riversa silenziosamente, ma con il botto, in strada, in quel teatro urbano e a cielo aperto che tutti ma proprio tutti hanno la possibilità di guardarlo e di farlo, noi spett-attori della strada, di questo funambolico spazio che è allo stesso tempo dentro e fuori.
“Era un po' curioso pensare che il cielo era lo stesso per tutti, in Eurasia, in Estasia, e anche lì. E la gente sotto il cielo, anche, era sempre la stessa gente... dovunque, in tutto il mondo, centinaia o migliaia di milioni di individui, tutti uguali, ignari dell'esistenza di altri individui, tenuti separati da mura di odio e di bugie, eppure quasi gli stessi...”
(dal libro "1984" di George Orwell)

Mura che forse solo la devastante portata energetica del colore, di un’idea o di una parola potrebbero abbattere.
La Street ha sempre portato con sé una riflessione, una differente visione oltre la differenza stessa, oltre il confine, oltre le mura..
“Transitare per brevi momenti su territori di frontiera, scorrere avventurosamente lungo avamposti istantanei, per attimi di incontro, di cambio, di contaminazione..” le parole importanti che una studiosa, amante della street come Francesca Alinovi, una donna che ha saputo cogliere l’importanza di questa modalità espressiva proprio sullo scoppio, sul nascere del movimento underground newyorkese che avrebbe lasciato nella scia nomi stellari del calibro di Haring Basquiat, Scharf e tanti altri..
Parole che sottolineano l’importanza dell’ibridazioni tra generi, ponendo l’accento sull’incontro-scontro di idee, di scelte espressive differenti, con la voglia e la coscienza di sperimentare, provare ed esperire la vita stessa, perché l’utopia novecentista non era solo un sogno, e l’arte si amalgama alla vita, e la vita all’arte stessa..e quale luogo meglio della strada, tra sudori, odori, rumori…in quel gran tutto simultaneo che veniva decantato nel teatro nunique di Birot, non casualmente amico di Apollinaire. Surrealismi che donano alla parola stessa una valenza grafica e plastica, e questo i graffitisti lo sanno bene.

“La vita più intensa della forma, la strada più forte dell’accademia”.
L’arte di KayOne è un odore forte che si insinua nel laconico precipizio di uno sguardo, un grande occhio, o piccolo, non importa, nelle tele l’artista lo inserisce, lo nasconde tra le composizioni astratte, tra le botte di colore e gli schizzi total white quasi purificanti da eraser cromofobo anche solo per un istante, un istante di vita intensa, il limite di uno sforzo, la virata di un gesto, una potenza espressiva declinata e che ricorda gli echi dell’espressionismo astratto americano di Pollock o del new dada colante e aggettante di Rauschemberg.
KayOne guarda ai padri e li rimixa, per una gran tutto caotico, assordante, ma a intermittenze rigorose e geometriche, pensate, lunghe, perché l’arte delwriting richiede tempo e precisione e l’artista ne ha la coscienza.

Gli occhi che KayOne ci nasconde tra le gettate cromatiche, ricordano i grandi sguardi che anche un altro street artist famoso come JR ha utilizzato per i suoi lavori in strada, occhi di matrice orwelliana, precursore del Grande Fratello, sguardi che ci controllano, guardiamo ma veniamo guardati, sempre, continuamente, costantemente.
Occhio come elemento rappresentativo di una visione espansa, occhio saccheggiato fin dai collage dada-surrealisti.
“L’arte di avanguardia non solo non è morta, ma vive spiando con grandi occhi spalancati sul centro della periferia..” affermava brillantemente l’Alinovi.
Occhi spalancanti, famelici, sul centro della periferia, ai margini, tra dentro e fuori.

KayOne nomina e battezza le proprie visioni trasbordanti, Modulazione rossa, Acquario, Sirio, Reattore Quattro, Natura Minacciata, L’origine della Rete, Ciclone Mediatico, Dominazione, Metallo Pesante, CMB, Frontiere Violate.
Titoli che già di per sé sono esplicativi di una volontà di rappresentare la realtà tangibile di noi tutti, quella dei nuovi media, della rete, di un gigante ipertesto nel quale navighiamo anche inconsciamente, perché ormai siamo investiti da un inquinamento semiotico anestetizzante.

E allora diventa impossibile rimanere impassibili davanti a quel tutto assordante di KayOne, lo sguardo viene disturbato ma nell’accezione piacevole, viene sollecitato, in quella centrifuga accesa, dove la bomboletta spray bianca si mischia all’acrilico contro ogni divisione di genere, generando punti di luce focus, vividi e accecanti, vitali come il latte più celebrato nelle pellicole di Kubrickiana memoria, dove anche lì un singolo occhio truccato diventava frontiera violata..
Ma la confusione ritrova anche momenti di logica apparentemente perduta, KayOne usa il lettering alla maniera cubista di Braque, tenendo legati due lembi di un lenzuolo eunuco, figurativo e non figurativo, un astratto distratto?
Forse. Ma noi siamo dentro ad una guerra di cromie pop, quello stesso pop di cui la street spesso si nutre.

Il calibro e lo sparo visivo di KayOne non va mai ingoiato tutto insieme, va sorseggiato a dosi, e solamente così ci si può rendere conto di un attento bilanciamento, di un soppesarsi equilibrato di differenti cariche espressive, tra l’esplosione e l’implosione.
E la città chiama, il legame al sesso, non maschile, non femminile, ma urbano è sempre presente, si fa materia, l’artista infatti ottiene il nero dal bitume e il bianco dalla vernice per le strisce pedonali, ne sentiamo quasi l’odore dell’asfalto, ne percepiamo l’essenza, lo sentiamo sotto le palpebre e sulle ciglia come un mascara, come una stratificazione di memoria visiva che diventa quasi sensuale, e scivoliamo così…across the universe.
Federica Fiumelli  | Spazio San Giorgio







mercoledì 23 ottobre 2013

"Minàlo", Stefano Perrone @BRERART

Spazio San Giorgio presenta "Minàlo"
BRERART, Milano  -  23-27 Ottobre 2013
Inaugurazione Giovedì 24 Ottobre h. 19.00 
presso Duomo Store, Piazza Duomo angolo Galleria Vittorio Emanuele II, Milano


Ecco il mio testo per i lavori dell'artista Stefano Perrone.



L'artista ci propone dei mash up digitali, veri e propri collage metafisici.
Coniugando vari elementi si può trovare il duomo di Milano stagliarsi da sfondi neutri e sabbiati, pennellato da una tinta nera... che l’autore sia l’uomo vestito retrò, perduto da una foto vintage di fine Ottocento, che al posto della testa ha un pennello?
Tutto è surreale, la realtà si tinge di toni seppia e noir per un’ atmosfera delicata di altri tempi, elegante e allo stesso tempo in un altrove futuristico per l’assurdità trasbordante.
E ancora mezzi busti fanta-edili, come sarebbe avere un collo e un volto che non sono umani bensì architetture? Lasciate indietro la classica mitologia, (i centauri, le sirene, i minotauri sono out) il nuovo mito è la modernità.
Quelli che l'artista ci presenta sono anfibi tra lo ieri e l’oggi.
E non mancano gli elementi digitali che riportano a un passato pittorico, pennellate virtuali si ergono come improbabili ombre, neri e rossi, densi, da perdersi, una stesa di colore, spartiacque tra informe e icasticità.
I paesaggi, fotografie in bianco e nero che vengono ritagliate, ritagli di scorci vengono reinterpretati in questi mash-up, da bravo image jocker Perrone mischia le sue carte, accostando realtà e virtualità, colore e paesaggio, paesaggio e umanità, naturale e artificiale.
Non ci sono generi definiti, tutto è incastro dell’altro, un divertente puzzle visivo che punta sull’impazzo, ecco una figura maschile dagli antichi outfit emergere da una pennellata folta e oscura, al posto del volto la parte frontale di un vecchio tram.
Nostalgia e follia si ritrovano alla deriva, in un senza luogo, in un probabile ma incerto, in un insieme di visioni e surrealtà, polifonicamente dissonanti.

Federica Fiumelli