Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

martedì 16 giugno 2015

Un giorno questo dolore ti sarà utile. Senza opporre resistenza



link: http://wsimag.com/it/arte/15856-un-giorno-questo-dolore-ti-sara-utile






Semplicemente bisogna abbandonarcisi al dolore, bisogna forse soltanto lasciarsi cadere all'indietro a braccia aperte come quando lo si fa con qualcuno di cui ci si fida. Non bisogna porre resistenza, occorre accettare e abbracciare. Sì. Facile. Come no.

C'è però qualcosa di estremamente raffinato nel dolore, porta con sé un fascino dimenticato, come una silhouette intagliata nel ghiaccio, o nella nebbia. Algidità ed evanescenza. Ma cosa ne farò di questo dolore in tasca? Mi rimangono solo le parole come granelli di sabbia in una clessidra presuntuosa, le parole però resistono anche oltre il tempo. E’ per questo che decido di dare forma a questa "cosa". Spezzata, derubata, sfiancata, squarciata a metà, una parte sembra persa per sempre. Una nudità forzata. Quanta arroganza allora si insedia tra le pieghe del dolore.

Il titolo di un famoso libro recita così: Un giorno questo dolore ti sarà utile. Geniale. Certo. Ma oggi? Oggi, qui è ora, quando il mio respiro è corto, il mio cuore spezzato e il mio sguardo un deposito di lacrime? Come me lo racconto oggi, che tutto questo nel futuro mi sarà persino utile? Troppe domande. Devo tornare alle origini, e occorre abbandonarsi. Bisogna conviverci con questo bastardo. Mi sia concesso il commento sprezzante. Una cicatrice in più. Una delle tante. Il peggior collezionismo. O forse il migliore, quello più altruista. Perché se ci si fa male, se si cade, beh vuol dire che senz'altro almeno un tentativo di credere in qualcosa esterno da noi c'era.

Ma adesso non c'è più. C'è solo questo specchio di dolore a fare compagnia, come in un bar alla Hopper, dove la solitudine sa di brandy e nostalgia. Che poi io neanche lo bevo il brandy. Ma nell'abbandono c'è un conforto. C'è qualcosa di altro. Allora ho camminato tra le pagine di Tondelli, diamine, che diavolo di penna. Tondelli sapeva trovarci le parole, dritte, puntuali, terribilmente sincere, crude, nude, vere. Maledettamente sporche di bellezza. Così sono finita sulla prima pagina di Autobahn da Altri Libertini. Quelle frasi, messe in fila una dopo l'altra come ombre, sembravano state scritte per questo dolore. "Lacrime lacrime non ce n'è mai abbastanza quando vien su la scoglionatura, inutile dire cuore mio spaccati a mezzo come un uovo e manda via il vischioso male, quando ti prende lei la bestia non c'è da fare proprio nulla solo stare ad aspettare un giorno appresso all'altro. E quando viene comincia ad attaccarti la bassa pancia, quindi sale su allo stomaco e lo agita in tremolio di frullatore e dopo diventa ansia che è come un sospiro trattenuto che dice vengo su e poi non viene mai".

Accidenti. Ho pensato. Mi tremavano le gambe. Quelle parole erano piombate all'appuntamento con i miei pensieri. Hanno rotto quel silenzio. Come quando Parmiggiani creò una delle opere più belle, per me. Il labirinto dei vetri infranti. Come le parti di me che si erano lacerate. Un dedalo di lastre di vetro, grandi e spesse, frantumate dall'artista con un grande martello. Grandiosa bellezza e impossibilità. Qualcuno ha definito quel lavoro come una negazione di praticabilità. Iconoclastia ed esplosione. Torna il senso di vertigine e mi sento come dentro l'ouverture, le Ebridi di Felix Mendelssohn, questo dolore era diventato un'isola dell'iperrealismo. Tutto più reale del reale.

Un crescendo. Un tormento. O intorpidimento? Quando uno si avvolge nel proprio dolore forse a causa di un troppo sentire, finisce con il sentire sempre meno. E allora c'è uno sparo. Il 19 Novembre del 1971 l'artista Chris Burden in Shoot, una delle azioni più celebri della storia dell'arte d'avanguardia, si fece sparare sul braccio sinistro da un amico. Scomparso da poco tempo, all'età di 69 anni dopo una lunga malattia, è stato uno dei massimi rappresentati della body art più estrema. Questa per me è un'altra di quelle opere faro, perché con quello sparo, Burden mi aprì molte domande. Quello sparo fu a detta dell'artista "un modo per controllate il destino". Una dichiarata critica a quello che stava succedendo in Vietnam. Tramite il corpo dell'artista, ci si interrogava sul perché di tanta crudeltà.

E a proposito di crudeltà umane e barbarie, in Disumane Lettere Carla Benedetti cita Steiner che in un saggio del 1967 scrisse: "Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera e il mattino dopo recarsi al proprio lavoro a Auschwitz. Dire che egli ha letto questi autori senza comprenderli o che il suo orecchio è rozzo, è un discorso banale e ipocrita [...] gli strumenti tradizionali della civiltà - le università, le arti, il mondo librario - non sono riusciti a opporre una resistenza adeguata alla bestialità politica: spezzo anzi essi si levarono ad accoglierla, a celebrarla e a difenderla. Perché? Quali sono i legami, per ora assai poco compresi, tra gli schemi mentali e psicologici della cultura superiore e le tentazioni del disumano? Matura forse nella civiltà letterata un gran senso di noia e di sazietà che la predispongono allo sfogo delle barbarie?". E ancora la Benedetti riassume: "Come è possibile che la grande circolazione di opere d'arte e di pensiero che si dà nella nostra epoca, molto superiore a quella di epoche precedenti, possa coesistere con un tale aumento di barbarie? Questo è sicuramente un aspetto del "grande dolore".

Sempre nello stesso libro si parla di un altro illustre scrittore, Gadda, e la Cognizione del dolore, dove tutto accade in un intreccio, tutto è colmo, persino il silenzio e la luce. "Il crepitio infinito della terra". Gadda che come scrive la Benedetti "ha una percezione del mondo che non separa ciò che profondamente è unito: un tutto che in realtà è un inseparato, che tiene esplosivamente assieme ciò che non riusciamo a dominare dentro alla concatenazione della storia". "Tutto andava esaurito dalla rapina del dolore".

John Everett Millais, pittore preraffellita, dipinse tra il 1851-1852 uno dei quadri dove il rapimento e il dolore trovano un soppesato ritmo. E ciò si tramuta nel beffardo destino di Ofelia, portata via dall'amore, dal fato e dalla natura. Eroina shakesperiana, oggi mi sento esattamente come lei. E più la osservo in tutti i miei libri di storia dell'arte e più ne subisco il granitico fascino. Emblema del dolore estatico, quasi vicino a una sacrale rassegnazione, in procinto tra due mondi, tra la vita e la morte, l'esangue volto è un riflesso di rara bellezza. Ofelia non trapassa soltanto lo scorrere dell'acqua e del tempo ma anche l'immagine specchiante, lei emerge dall'irreale, dall'etereo, per l'ultima volta. E la natura serrata le fa da cornice quasi da gelosa custode, infittisce il verde tappeto per confonderla con la vita della flora. Ofelia viene ritratta qui con piena eleganza, dignità, e raffinatezza, che mai nessun dolore fu così spiritualmente agghindato.

Qui, dopo varie digressioni personalissime, alogiche e anacronistiche, cercando conforto in parole, gesti, materiali o pitture, rimango fedele a questa linea tracciata di dolore, ritrovo la pace, almeno per oggi. Così. Diamanti e ruggine.

Federica Fiumelli









domenica 7 giugno 2015

To Disconfirm. Contro l'unicità e l'indivisibilità della storia

link: http://wsimag.com/it/arte/15848-to-disconfirm 





Vuoi che proviamo a scrivere una storia?
Non domando di meglio! Ma quale?
Quale, in effetti?
(Gustave Flaubert, Bouvard e Pécuchet)

Contro l'unicità e l'indivisibilità granitica della storia e dell'identità. Questa la volontà. Smentire, negare, ma soprattutto difendere la pluralità. La collettiva curata da Vincenzo Estremo alla gallleriapiù - Also Known as Oltredimore- di Bologna mette in evidenza i modi attraverso i quali l'arte visiva contemporanea smentisce, questiona, racconta le molteplici narrazioni della pluralità identitaria.

C'è la necessità di liberarsi dal peso monolitico delle istituzioni storiografiche. E gli artisti in mostra danno voce alla possibilità di convivenza tra ricerche differenti tra loro. La storia come l'identità e la geografia è frammentaria, non lineare, polifonica, pulviscolare, imprecisa, irregolare, instabile, da scoprire. Come in un caleidoscopio le figure mutano senza mai ripetersi. Un molteplicità di strutture. César Escudero Andaluz, apre l'esposizione con due lavori estremamente interessanti, Tapebook del 2015 e File_món del 2012. Nel primo, l'artista che solitamente studia il rapporto che intercorre tra utenti e interfacce, trasforma testi estrapolati da pagine Facebook dedicati a grandi pensatori e filosofi come Barthes, McLuhan, Foucault, Lacan, in tracce audio riportate su audiocassette, ciascuna avente per copertina la grafica del social prima menzionato. Viene così attivato un confronto tra analogico e digitale affascinante e su diverse dimensioni.

In File_món numerose immagini in bianco e nero tra le più comuni, molte delle quali hanno costellato l'immaginario comune, una storia universale, sono usate come sfondo del desktop di un computer, e alcuni elementi vengono sostituiti da collage di icone digitali. Da banali e asettici segni, le icone ritornano a fungere come elementi costitutivi della figurazione. Interessante la citazione di Georges - Didi Huberman nel sito dell'artista stesso: "The information offer us much, through the proliferation of images. We are inclined to believe nothing of what we see". La vecchia immagine fotografica in bianco e nero diventa una tela sulla quale si depositano come in alveari stratificazioni di icone, un patchwork plurisemantico, veri e propri nidi di senso (O non-senso?).

Matteo Guidi e Giuliana Racco con i lavori Representation, Between Camps e You only feel good wher You are si posizionano in un delicato limbo, perché è anche di limbi che ci parla questa mostra, tra antropologia culturale e arte. In Between Camps gli artisti hanno documentato un cammino di tre giorni compiuto da loro stessi lungo le rovine di un antico acquedotto romano che nell'antichità portava a Gerusalemme l'acqua che derivava dalle piscine di Solimano vicino a Betlemme. Fu costruito da antichi colonizzatori e oggi l'acquedotto collega due campi profughi attraversando terre non praticabili agli abitanti originari, viene pertanto utilizzato come cava di marmo dalla popolazione locale, ciò dimostra in maniera palese il sentimento di non appartenenza di questi ultimi. Appartenenza, appropriazione, memoria, confini, geografia, barriere culturali, questi, i temi esposti da duo Guidi-Racco. Quanto è labile e doloroso e precario l'orizzonte. Una linea evanescente e tagliente, un profilo sul quale l'uomo è costretto e attratto a percorrerlo. Una lontananza che solo la memoria forse può colmare. Come si evince nello scatto di Between Camps.

Intensi i lavori olio su tela e bomboletta spray di Massimo Ricciardo. In Expropriation ritrae dei luoghi squarcianti da un fucsia shocking che aggredisce lo sguardo. La città soggetto è Kashgar, città cinese della provincia autonoma dello Xinjiang, storico punto di scambio e incontro lungo la via della Seta, dove l'artista trascorse un periodo. Il centro storico ottomano venne abbattuto in seguito a un radicale riassetto come segno di sottomissione del popolo degli Uiguri, una piccola minoranza locale di etnia turcomanna con fede musulmana in opposizione al governo vigente. La distruzione e l'espropriazione sono rese manifeste dallo spruzzo arrogante e invasivo, quasi autoritario e demolitore dello spray fucsia. Avvicinandosi ai lavori si scorge quasi in opposizione una pastosità, matericitá densa e importante. In Permanent Vacation, installazione site-specific, tessuti tradizionali di un'etnia vengono confrontati con il tessuto del potere, l'immagine dell'accappatoio che Mao indossava in alcune fotografie ufficiali. La migrazione e lo scambio sono in movimento permanente, e questa è una condizione indissolubile della frammentarietà che caratterizza la vita, ancora prima della storia.

Time topographies trilogy, lavoro che "chiude" l'esposizione, opera video dell'artista Amanda Gutiérrez, è una trilogia video che dá voce ai luoghi, nessuna figura umana compare, solo tre sguardi su fette di pianeta si alternano calibrate, alcune voci fuori campo diverse per etnia, età e genere raccontano storie di migrazione e clandestinità, lasciandoci e facendoci riflettere sulla moltitudine della storia che trova vita nell'impalpabilità dei confini, nell'inutilmente indispensabile dell'arte e nel narrare in maniera plurima.

La storia, un distillato di rumori.

(Thomas Carlyle)

Federica Fiumelli