Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

sabato 2 giugno 2012

Quando la moda incontra l'Arte a "pois": Yayoi Kusama per Louis Vuitton

Non c'è niente di più entusiasmante per una ragazza che ama l'Arte se non scoprire che la Moda (altra passione comune ad ogni soggetto di genere femminile) ha deciso di reinventarsi sotto i canoni artistici di un nome noto e magari originale. E' un connubio esplosivo, quello fra l'Arte e la Moda.

A tal proposito l'eccentrica artista giapponese Yayoi Kusama ha creato una linea di abiti per la rinomata casa di moda Louis Vuitton: la collezione verrà presentata il 10 luglio in concomitanza con l'apertura di una retrospettiva su Kusama al Whitney Museum di New York.



Chiunque abbia sfogliato un libro sulla storia dell'Arte Contemporanea non può non essere rimasto affascinato dalle sinuose forme di quella giovane giapponese coi tacchi e il corpo nudo ricoperto di pallini rossi giganti.


Sono stati il suo marchio durante gli anni '60, quei "pois", dipinti sul proprio corpo o su quello dei partecipanti alle sue performance. Conosciuta dai più come l'"artista dei pois", Louis Vuitton ne celebra l'originalità e fissa questo marchio Kusamiano in borse e abiti secondo un binomio giallo/nero.

Con i suoi rampanti 83 anni, vanta riconoscimenti ed esposizioni in vari musei importanti a livello mondiale e mostre permanenti, come per esempio il Museum of Modern Art di New York, al Tate Modern a Londra e al National Museum of Modern Art di Tokyo.
Avanti tutta Kusama!


martedì 29 maggio 2012

ABOYEZ! The land Without Shame. Omaggio a Buñuel.

Intanto per cominciare andate a questo link, 
proprio qui sotto eccolo..


https://vimeo.com/41847494

Siete capitati in questo spazio virtuale per caso, perché magari state "cazzeggiando" sul vasto mondo di internet e qualcosa vi ha condotto su questa pagina bizzarra. Bene. Restate.


Ora che ci siete, magari avete anche cliccato al link soprastante. 
Ok. Sintonizzatevi.
Prendetevi sottomano una manciata di scrocchianti pop-corn che fanno sempre molto cinema, dirottate la vostra mente al periodo surrealista.
Bene.


Di cosa si tratta


"Omaggio al primo Buñuel."


Così mi scrive l'artista autore del corto. Nicolò Comotti.


Questo short movie on vimeo vi "ruberà" solo 18 minuti e 29 secondi circa del vostro tempo. 

Daiiii cosa aspettate? 

Guardate per credere.

Credere a cosa?

A quello che vi pare.

La prima parte totalmente priva di parole, musica e immagini copulano tra loro in sintonia top. Visioni esilaranti e deliranti. Sensi nudi e crudi.

La seconda parte, una sequenza liquida di immagini cittadine/quotidiane, 
nella land
 without shame, voce narrante, un mini-viaggio filmico godibile.

Assaporatevi qualche immagine dal mio iphone di questo omaggio al maestro del cinema surrealista, ho scelto i fotogrammi che mi hanno intrigata maggiormente.

Good Vision.

                                                                                      Federica Fiumelli

















giovedì 24 maggio 2012

Peter Madden, lo SCULTOGRAFO

Recentemente ho letto un articolo su Peter Madden, un artista neozelandese che si definisce SCULTOGRAFO.




Leggendo la sua professione sono rimasta un pò basita, chiedendomi che cosa fosse uno scultografo e soprattutto che cosa avesse fatto di così speciale questo Peter Madden per diventare famoso.

In poche parole, questo artista crea collage su tela o vetro raccogliendo immagini da enciclopedie, libri o riviste riguardanti la natura


Il risultato è una pseudo fotografia tridimensionale, o "collage della differenza", come lo definisce Madden.


Sinceramente quando ho letto "taglia immagini e crea collage" ho pensato E QUINDI??
Ma quando ho visto i suoi quadri sono rimasta colpita dalla genialità e dall'originalità di questo artista.. le sue opere mi sono piaciute tantissimo!!

.. e voi cosa ne pensate? Dateci un'occhiata .. http://ryanrenshaw.squarespace.com/maddenworks/

martedì 22 maggio 2012

Laura Redburn: talento color pastello nei collage "per ogni occasione"

La genialità dilaga di questi tempi.
La sperimentazione è il must.
Il collage la forma artistica più in voga.

Ed ecco un altro nome dalla scena inglese: Laura Redburn, giovane (ha solo 25 anni) e talentuosa illustratrice, a lavoro già da qualche anno, ma quasi sconosciuta dalle nostre parti. Nei suoi lavori donne e natura, animali e forme geometriche ricreano quadri sognanti in maniera simbolica. L'eleganza dei colori pastello e le icone femminili vintage rendono le sue creazioni attuali e senz'altro brillanti.
Nel sito Cardboard Cities (http://cardboardcities.storenvy.com/products) si possono scoprire, esplorare e persino "comprare" le illustrazioni.
Per ogni occasione, dice lei.

Davvero fantastiche!

“please don’t leave me to remain”

quatre

Return Often and Take Me

nihil ausus, nihil acquistus

Laura Redburn on Flickr:
http://www.flickr.com/photos/cardboardcities/

Laura Redburn's Blog:
http://cardboardcities.co.uk/

Laura Redburn on Facebook:
http://www.facebook.com/cardboardcities

L'artista ha realizzato anche un video, disponibile su Vimeo, creando un'animazione con i suoi fantastici collage:
http://vimeo.com/cardboardcities/cardboardcities-edsmithson




domenica 13 maggio 2012

It's time of Duffy!



let's play and start this photographic travel...

Cioè. Vedete? Come si fa a non entrare ad una mostra che già come "copertina di lancio" ha una foto di questo calibro? 
Esteticamente seducente, l'estro di Brian Duffy, ci regala scatti di anni boom come quelli '60-'70, anni di un mondo glam, raffinato, pop.
Il fascino maledetto di Bowie in questa foto appartenente al ciclo Scary Monster tenta, quasi obbliga a fare passaggio alla mostra che ho avuto occasione di andare a vedere al Museo di Fotografia Alinari di Firenze.
Ma chi era Brian Duffy?
"Prima degli anni sessanta un fotografo di moda era alto magro e molto effemminato. Ma noi tre siamo tutt'altro: bassi, grassi ed eterosessuali...Non permettevamo a nessuno di dirci cosa dovevamo fare." 
Così si presenta lo stesso Duffy, facendo riferimento con quel NOI alla famigerata "Black Trinity" comprendente Bailey e Donovan; il trio che rivoluzionò la fotografia di moda da quella scontata anni '50.
La mostra dal titolo "Photographic Genius" si apre con bellissimi, raffinatissimi, elegantissimi (consentitemi l'uso di questi superlativi perché verbalmente permettono la descrizione più appropriata) scatti per Vogue. Scatti che onorano anche la grazia e la bellezza di Firenze, città ospitante dell'esposizione.







Da subito di respira un ritorno negli anni luccicanti della swinging London, con modelle eteree come Veruska, studi fotografici, vestiti dai tagli e stampe geometrici.
Poi serie di scatti prevalentemente in bianco e nero di celebrità come l'attorone Caine, Lennon, Black Sabbath, l'allora modella Grace Coddington nonché attuale direttrice creativa di Vogue America a fianco della super Anna Wintour.  







La mostra è quindi una carrellata, un reportage di quegli anni così spensierati e prolifici dal punto di vista artistico.
Presenza di scatti anche colorati, provocanti, raffiguranti semi nudità e donne già proto-plastiche.


E poi gli scatti dedicati a lui, al Duca Bianco, al nostro signor David Bowie.





 Al personaggio del panorama musicale più accattivante e androgino di sempre, a lui che cantava "We can be hereos just for one day."
Duffy (heroe) lo è stato e lo sarà per sempre per la fotografia.




PS: Fatevi un giro al Museo Fotografico Alinari, perché propone pezzi rari, archivi e apparecchi fotografici ottocenteschi, tributi a Nadar, pezzi di Bresson, Atget, Muybridge, Adams e tanti altri!! Suuuu non perdete l'occasione di immergervi in uno spaccato di storia della fotografia, dal 1839 in poi.


                                                                                                                          
                                                                                                               Federica Fiumelli



giovedì 10 maggio 2012

Brian Duffy - The photografic genius

La mostra delle foto di Brian Duffy (1933 - 2010), al MUSEO DELLA FOTOGRAFIA a Firenze, non ha deluso le mie aspettative.



Duffy nel 1957 iniziò a lavorare per Vogue e fotografò artisti del calibro di John Lennon e David Bowie; quest'ultimo, utilizzò alcune fotografie di Brian come copertine dei suoi album.
Duffy cambiò il mondo della fotografia, creando la figura del fotografo di moda, ma all'apice del successo decise di bruciare gran parte delle sue fotografie; il figlio, riuscì a salvarne alcune che oggi ho avuto la fortuna di vedere.

Queste sono alcune delle foto che mi hanno colpito di più:


John Lennon, in una foto del 1965 che lo ritrae in tutta la sua semplicità.


Jane Birkin, 1965: questa foto esprime leggerezza, armonia, libertà.. guardandola, ci si dimentica che è stata scattata in un set fotografico, anche se è ben visibile.


Questo scatto è stato fatto per Vogue, nel 1962; di questa foto amo lo sfondo del Duomo di Firenze ma soprattutto l'eleganza e la raffinatezza della donna ritratta.

Altre foto che mi hanno colpito sono state..

.. per la strana prospettiva e il senso di essere in un labirinto..


..per la perfezione di luci, ombre, contrasto e armonia tra sfondo e soggetto..
 
 Poi, ovviamente, non possono mancare le foto dell'eclettico e stravagante David Bowie..

 Aladdin Sane - 1973


Scary monsters - 1980



Avere la possibilità di vedere questi capolavori, mi ha emozionata: guardandole, mi sono resa conto di avere davanti a me i lavori di un uomo che con la sua bravura, la sua arte e la sua creatività ha cambiato il mondo e il modo di vedere la fotografia di moda.




domenica 6 maggio 2012

L'ABC di Marcel Broodthaers @MAMbo

Proprio oggi chiude al MAMbo la mostra dedicata a un grande artista del XX secolo, 
Marcel Broodthaers.




Sinceramente non sapevo che mostra aspettarmi, in primis soprattutto perché Broodthaers è un artista che non conoscevo affatto bene, diciamo pure che il suo nome non è troppo "divizzato" o ben sponsorizzato, non ho mai trovato libri, troppi articoli a lui dedicati e non ne ho sentito mai troppo parlare.
Ho letto recentemente un articolo sulla mostra su Flash Art, qualcosa su Artribune, e poi mi sono un pò documentata cercando immagini o testi sul web.
Spero invece che questa mostra abbia raggiunto una fetta di pubblico sufficiente in modo da diffondere il più possibile il nome di questo grande ed interessante artista, che merita, merita veramente un momento (e anche di più) di attenzione.
Mi sono chiesta durante e a fine mostra, come possiamo etichettare o definire un artista come Broodthaers? 
Io lo definirei concettuale, un pò narrative, un dada-surrealista in grado di fornire spunti interessanti di riflessioni utilizzando scrittura, filmati, ready-made, installazioni, tutte tecniche cioè che nel contemporaneo impazzano.
La mostra iniziava con Un jardin D'Hiver del 1974 uno spazio dove trovano sistemazione piante (palme), sedie, disegni di animali e proiezioni filmiche inerenti. 
L'effetto era quello di trovarsi in una specie di spicchio di oasi o serra protetta, dove al posto di animali concreti troviamo disegni in bianco e nero di animali vari.




Proseguendo la mostra si intuisce immediatamente dove il pensiero di Broodthaers tendesse.
La scrittura. La passione per la scrittura. Il suo lavoro è una riflessione continua sulla costruzione e decostruzione sul senso, portando la scrittura stessa a statuto di mera immagine.
I suoi continui rimandi a Magritte, uno che diciamolo con il lavoro Ceci n'est pas un pipe ci ha fatto riflettere molto sul rapporto immagine, oggetto, senso, parola.
Nella mostra infatti erano presenti il video Ceci ne serait pas un pipe, e altre stampe su tavolette metalliche dove pipe e lettere sono sovrane.




Sicuramente una delle opere che mi hanno colpita di più è Salle Blanche (1975), un'installazione dove viene riproposta una stanza interamente bianca e vuota.



Vuota apparentemente perché al suo interno, su pareti, soffitto, pavimento sono scritte in nero parole, le parole che sostituiscono gli oggetti fisici. Ed ecco, è qui la grandezza della sua ricerca, sostituire con il noumeno il fenomeno, creare lo spazio della scrittura, non a caso titolo della mostra. 
Projection sur casse, 1968 è un'altra che mi ha colpita.
Casse da imballaggio, diapositive e cartoline per un'idea di museo trasportabile.
Le casse diventano supporti sui quali le diapositive di cartoline rappresentanti dipinti famosi vengono proiettate. Immagini immateriali che quindi possono essere trasportate, a loro volte riprodotte su cartoline attaccate al muro con il nastro adesivo sostituendo così la classica collezione museale.





Eloge su sujet poi l'ho trovato geniale.
In questa opera Broodthaers racchiude dentro una teca di vetro alcuni oggetti accoppiati con una sorta di etichetta con su scritta una parola.
Esempi, un cappello con la scritta soggetto, una tavolozza da pittore con la parola pipa (ecco nuovamente Magritte), uno specchio con la parola immagine.
Cosa vuol fare quindi? Secondo lui il rapporto fra oggetti e parole non era completamente arbitrario, spetta quindi a noi osservatori trovare gli anelli di congiunzione mancanti.
Un divertente rebus visivo quindi.
Molto divertente anche La Caméra qui regarde, 1966. Ecco qui l'estro dada-surrealista. Un serie di vasetti di vetro rivestiti con immagini di occhi. Il treppiede ci fornisce poi l'analogia stretta tra macchina fotografica o da presa, grandi protesi sensoriali continuative del nostro occhio umano. Riproduzione immagine sostituita quindi a quella dello sguardo.
Troviamo poi l'uso di cozze e uova come forme perfette in natura (se non sbaglio l'uovo mi riporta per un momento alle costruzioni del museo di Dalì a Figueres, coincidenza?).


E poi presenza di mattoni, che analogamente vengono usati, secondo me, come metafora della costruzione del linguaggio.
Infine il video che mi ha colpita maggiormente, La Pluie
Lo stesso Broodthaers veniva ripreso mentre tentava di scrivere su fogli bianchi in uno spazio aperto sotto una pioggia battente che cancellava ripetutamente ciò che egli scriveva.
Alla fine forse è vero che la natura è più forte di tutto ciò che noi possiamo fare, scrivere o costruire, oppure che il linguaggio non è che un gioco continuo di rimandi e significati e anche di non-sense. 


Anche queste mie parole verranno cancellate da pioggia insistente molto probabilmente.
.....




Una mostra quindi veramente molto interessante quella di Broodthaers, che vi consiglio, qualora non lo conosceste ancora molto bene, di conoscere.



                                                                                                     Federica Fiumelli