Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

domenica 6 maggio 2012

L'ABC di Marcel Broodthaers @MAMbo

Proprio oggi chiude al MAMbo la mostra dedicata a un grande artista del XX secolo, 
Marcel Broodthaers.




Sinceramente non sapevo che mostra aspettarmi, in primis soprattutto perché Broodthaers è un artista che non conoscevo affatto bene, diciamo pure che il suo nome non è troppo "divizzato" o ben sponsorizzato, non ho mai trovato libri, troppi articoli a lui dedicati e non ne ho sentito mai troppo parlare.
Ho letto recentemente un articolo sulla mostra su Flash Art, qualcosa su Artribune, e poi mi sono un pò documentata cercando immagini o testi sul web.
Spero invece che questa mostra abbia raggiunto una fetta di pubblico sufficiente in modo da diffondere il più possibile il nome di questo grande ed interessante artista, che merita, merita veramente un momento (e anche di più) di attenzione.
Mi sono chiesta durante e a fine mostra, come possiamo etichettare o definire un artista come Broodthaers? 
Io lo definirei concettuale, un pò narrative, un dada-surrealista in grado di fornire spunti interessanti di riflessioni utilizzando scrittura, filmati, ready-made, installazioni, tutte tecniche cioè che nel contemporaneo impazzano.
La mostra iniziava con Un jardin D'Hiver del 1974 uno spazio dove trovano sistemazione piante (palme), sedie, disegni di animali e proiezioni filmiche inerenti. 
L'effetto era quello di trovarsi in una specie di spicchio di oasi o serra protetta, dove al posto di animali concreti troviamo disegni in bianco e nero di animali vari.




Proseguendo la mostra si intuisce immediatamente dove il pensiero di Broodthaers tendesse.
La scrittura. La passione per la scrittura. Il suo lavoro è una riflessione continua sulla costruzione e decostruzione sul senso, portando la scrittura stessa a statuto di mera immagine.
I suoi continui rimandi a Magritte, uno che diciamolo con il lavoro Ceci n'est pas un pipe ci ha fatto riflettere molto sul rapporto immagine, oggetto, senso, parola.
Nella mostra infatti erano presenti il video Ceci ne serait pas un pipe, e altre stampe su tavolette metalliche dove pipe e lettere sono sovrane.




Sicuramente una delle opere che mi hanno colpita di più è Salle Blanche (1975), un'installazione dove viene riproposta una stanza interamente bianca e vuota.



Vuota apparentemente perché al suo interno, su pareti, soffitto, pavimento sono scritte in nero parole, le parole che sostituiscono gli oggetti fisici. Ed ecco, è qui la grandezza della sua ricerca, sostituire con il noumeno il fenomeno, creare lo spazio della scrittura, non a caso titolo della mostra. 
Projection sur casse, 1968 è un'altra che mi ha colpita.
Casse da imballaggio, diapositive e cartoline per un'idea di museo trasportabile.
Le casse diventano supporti sui quali le diapositive di cartoline rappresentanti dipinti famosi vengono proiettate. Immagini immateriali che quindi possono essere trasportate, a loro volte riprodotte su cartoline attaccate al muro con il nastro adesivo sostituendo così la classica collezione museale.





Eloge su sujet poi l'ho trovato geniale.
In questa opera Broodthaers racchiude dentro una teca di vetro alcuni oggetti accoppiati con una sorta di etichetta con su scritta una parola.
Esempi, un cappello con la scritta soggetto, una tavolozza da pittore con la parola pipa (ecco nuovamente Magritte), uno specchio con la parola immagine.
Cosa vuol fare quindi? Secondo lui il rapporto fra oggetti e parole non era completamente arbitrario, spetta quindi a noi osservatori trovare gli anelli di congiunzione mancanti.
Un divertente rebus visivo quindi.
Molto divertente anche La Caméra qui regarde, 1966. Ecco qui l'estro dada-surrealista. Un serie di vasetti di vetro rivestiti con immagini di occhi. Il treppiede ci fornisce poi l'analogia stretta tra macchina fotografica o da presa, grandi protesi sensoriali continuative del nostro occhio umano. Riproduzione immagine sostituita quindi a quella dello sguardo.
Troviamo poi l'uso di cozze e uova come forme perfette in natura (se non sbaglio l'uovo mi riporta per un momento alle costruzioni del museo di Dalì a Figueres, coincidenza?).


E poi presenza di mattoni, che analogamente vengono usati, secondo me, come metafora della costruzione del linguaggio.
Infine il video che mi ha colpita maggiormente, La Pluie
Lo stesso Broodthaers veniva ripreso mentre tentava di scrivere su fogli bianchi in uno spazio aperto sotto una pioggia battente che cancellava ripetutamente ciò che egli scriveva.
Alla fine forse è vero che la natura è più forte di tutto ciò che noi possiamo fare, scrivere o costruire, oppure che il linguaggio non è che un gioco continuo di rimandi e significati e anche di non-sense. 


Anche queste mie parole verranno cancellate da pioggia insistente molto probabilmente.
.....




Una mostra quindi veramente molto interessante quella di Broodthaers, che vi consiglio, qualora non lo conosceste ancora molto bene, di conoscere.



                                                                                                     Federica Fiumelli












                                                                                                                  

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