Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

martedì 21 ottobre 2014

Nemo's


My last article on WSI mag:
http://wsimag.com/it/arte/11570-nemos


Uno sparo. Uno strappo, un graffio. Era carta che si levava e a ogni abbandono dalla superficie era un rigenero. E poi l'acrilico nero flottava ma si posava deciso e irrequieto allo stesso tempo. Quel rumore di carta appallottolata e stracciata e toccata e vissuta e schiaffeggiata e incollata e accarezzata e accolta e scelta era come adrenalina pura che si andava a innestare tra i sensi. Un sottovuoto. La mela di Newton non si posava e rimaneva un pensiero indivisibile che gravava sulla gravità. La colla era come miele denso e le parole dei giornali come api si posavano distratte rapide per poco tempo, quello che bastava per essere di passaggio brevemente. Le linee sanno di liquirizia e fumo. 
"Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?". 
Così affermava Mark Renton in Trainspotting
E ancora Lou Reed canterebbe come segue:
I don't know just where I'm going
But I'm gonna try for the kingdom if I can
'Cause it makes me feel like I'm a man
When I put a spike into my vein
Then I tell you things aren't quite the same
When I'm rushing on my run
And I feel just like Jesus' son
And I guess that I just don't know
And I guess that I just don't know
E ancora scelgo queste strofe saltandone alcune: 
And I guess I just don't know
And I guess that I just don't know
I wish that I was born a thousand years ago
I wish that I'd sailed the darkened seas
On a great big clipper ship
Going from this land here to that
Ah, in a sailor's suit and cap
Away from the big city
Where a man cannot be free
Of all the evils of this town
And of himself and those around
Oh, and I guess that I just don't know
...
Ma "we can heroes just for one day" risponderebbe lo Ziggy Stardust per eccellenza. 
Hero-in il lavoro dell'artista Nemo's eleva l'essere uomo a eroina-eroe di un tempo dismesso rannicchiato su se stesso in un tunnel dalle sembianze tutt'altro che familiari. L'uomo è compresso nello spazio mortifero di una siringa. Il mondo si droga dell'uomo, ormai più stupefacente dello stupefatto. Underpressure, il contagio è a misura umana. Questo lavoro pensato per la IV biennale di Socino a Marco è il risultato di disegno, acrilico e carta da giornale, una cifra stilistica essenziale di Nemo's. Ma chi è Nemo's? 
La scelta del nome è già piuttosto affascinante, da Nemo capitano delle venti leghe sotto il mare, al corrispettivo latino no-one. Una tag perfetta per chi lentamente impara a conoscere le creature di Nemo's. Sono dei nessuno in misura di una bellezza straziante. Strane equazioni visive che riflettono situazioni comuni. Ma l'apostrofo S rimane un inequivocabile marchio di fabbrica. Un distintivo d'identità.
Ma andiamo per ordine. L'artista stesso ammette di non sapere se aver imparato prima a disegnare o scrivere. Un'immagine però resta vivida, un disegno di un cerchio rosso e due occhi lo resero molto felice, e la visione di un illustratore locale grazie al suo papà permisero a questa giovane mano di non smettere di disegnare (e fortunata-mente). Il resto è storia verrebbe quasi da dire.
Ma chi sono questi uomini che popolano i muri scelti accuratamente e mai per caso dall'artista? I lavori di Nemo's prevedono un prima e un dopo e questo grazie alla tecnica del collage scelta dall'artista che diventa un linguaggio nel linguaggio. La carta da giornale che l'artista utilizza è a tutti gli effetti un metalinguaggio. Oltre ad essere determinante per riconoscerlo ovunque, la carta è precaria, è suono, rumore, vita. I lavori di Nemo's invocano il tattilismo più sfrenato, anche di marinettiana memoria se vogliamo. Strappo dopo strappo, onomatopeica-mente presente cosa rimane? I personaggi si scarnificano mostrandoci impalcature ossee smaccatamente white. L'umanità apostrofo 'S è facilmente riconoscibile, quasi fatta in serie, si presenta nuda e cruda, e la pelle è caduca tanto quanto la nostra. I tatuaggi della loro pelle sono le nostre parole e la nostra storia. 
Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni? O piuttosto delle nostre crude cronache? Purtroppo Shakespeare per un problema generazionale non poteva certo pensare a Il Sole 24 ore. Quel che è certo è che difficile assomigliare alle parole che si dicono per riprendere un pensiero alla Stefano Benni. Forse è proprio per questo che la generazione Nemo's fa fatica a rispecchiarsi nella società e le creature si presentano come numeri primi intrisi di solitudine. Ma senza cadere nella disperazione e nel pessimismo più leopardiano, questi esseri dai corpi opulenti e dagli arti troppo sottili per volare veramente, in questo squilibrio disarmonico ci fanno riflettere, portandoci a una lettura più profonda, ci ricordano la nuda vita decantata da Agamben, ricollegandoci ai concetti di bio politica di Foucault. 
Foucault legava indissolubilmente le politiche di governo al regime di realtà, dal dopoguerra il mercato è diventato il luogo dove si denota il senso della realtà. Il governo degli uomini si struttura secondo direttive e logiche fantasmatiche di potere che sia esso economico o politico. Nella fase della biopolitica il soggetto politico è la popolazione. La libertà è un paradosso. Agamben sosteneva infatti che il potere del governo si esercitava direttamente sulla vita, sul bios, sul nudo dato biologico. Il legame tra politica e vita è sicuramente mortifero e il campo di concentramento diventa paradigma di questa unione. Agamben fa così riferimento all'homo sacer:
"Sacer è colui che è stato escluso dal mondo degli uomini e che, pur non potendo essere sacrificato, è lecito uccidere senza commettere omicidio”. 
L'homo sacer così possiede solo la nuda vita, è un outsider, escluso dalla comunità, può essere ucciso da chiunque, viene definito anche una singolarità qualunque. E questa singolarità è proprio quello che custodiscono l'umanità apostrofo 'S. Gli esseri di Nemo's sono riconoscibili e identificabili tra loro perché quasi identici nei tratti compositivi ma allo stesso tempo sono singolarità, perché ogni pezzo di carta, ogni goccia di acrilico e ogni messaggio sono differenti. Fiori rari che si increspano su muri sempre diversi. Trovo significativo al fine della poetica dell'artista il titolo di un altro lavoro, il primo dove viene utilizzata la carta non a caso, R-UMoRi. 
I rumori sempre diversi scandagliano i sensi e come gli umori sono albe di giorni diversi. I sensi e l'emozione. La tecnica di usare il collage di carta riciclata permette al tempo di trasformare esteticamente l'opera al fine di una ricezione sempre diversa. Corpi lievitati, costellati da molteplici bocche come fossero serrature abbandonate, cuciture, appare un baby con palloncino rosso reale alla mano, false speranze? Il grafismo di Nemo's è risonante e sonoro, leggero ma perturbante, centrifugo e dinamico, la grafica è essenziale e la skin-paper acquista colori tonali tenui, omogenei nella loro differenza costante, una cipria di parole e fatti quotidiani. 
E allora colpiscono le linee di contorno che si fanno come tracce del tempo nei solchi degli alberi, si fanno massicce e numerose, si ripetono, in un virtuosismo allucinato, caricaturale e grottesco. Cerchi concentrici che vogliono essere suonati a suon di strappi come vinili di memoria latente. Gli occhi sono sassi lanciati in un oceano di pelle di parole, che lasciano il loro affondo visibile in quelle stradine di acrilico noir. E sono presenti anche intorno alle bocche, tracciando un all'ingiù quasi irrecuperabile, sono espressioni franate, catastrofiche. 
Intenso il lavoro fatto contro lo sfruttamento minorile che vede ogni giorno un numero elevato di bambini strappati al loro tempo per produrre oggetti di consumo quali scarpe. In Choose is better a Madrid, un bimb-uomo in posizione fetale fluttua evanescente aggrovigliato in una matassa malvagia rossa che lo tiene appeso insieme a desolanti scarpe. L'aborto del diritto all'infanzia è qui compiuto sotto le fila di un capitalismo beffardo. Sempre a Madrid altro lavoro intensamente poetico, Free like a birds vede racchiuso un uomo nella sua intera nuda vita in una gabbia appesa e sospesa, l'uomo rassegnato, spalanca la bocca e gli occhi non possono che guardare la moltitudine gialla, piumata di uccellini che circondano la prigionia, in un contrasto visivo da pugno allo stomaco, da montagna russa, una dicotomia contrappuntistica che cuce a sé libertà e controllo, immobilità e vita. 
E guardando nel profondo del vuoto che fa eco senza ritorno, ecco che l'intervento a Camden, Londra, presenta un uomo in orizzontale con una ferita, interstizio, serratura, tasca, al posto del cuore. Un enorme scavo di buio pesto. In mano un paio di forbici e la classica bocca spalancata tra lo spavento e la sorpresa, quinte teatrali abbandonate che mettono in scena drammi bulimici. Ma ecco che come al solito l'artista non sceglie a caso il proprio muro. Quando scende l'oscurità della notte ci rendiamo conto che la torcia che l'uomo tiene in mano è stata creata su un'illuminazione già esistente nel panorama urbano. 
Il disegno si innesta perfettamente nel già esistente per inglobarlo in un secondo tempo nella propria narrazione. Fare luce nelle interiore è un viaggio che spaventa ma Nemo's é strong è un balsamico alla menta, è carta da Fisherman's Friend, fa rimanere a bocca aperta noi come i propri personaggi. Molto critici anche gli ultimi lavori Rip Off a Sapri e Men like Cows a Vedriano. Nel primo caso l'uomo nudo (quasi larva bloccata per una successiva metamorfosi), è tirato per gli esili arti da due ceffi benvestiti, probabilmente business man a giudicare dal look. Ancora una volta la nuda vita è strattonata dalle potenze vigenti. A Vedriano invece la mutazione kafkiana è avvenuta con un eco di orwelliana memoria. L'uomo bovino dá show di sé, e ancora una volta, le chiazze dark tipiche del manto dell'animale in questione non sono che porte buie e profonde, precipizi dell'oscurità più gocciolante, finestre abbondante, dalle quali nessun papa o profeta potrà declamare salvezza. 
Trovo interessanti, molto interessanti anche le prime produzioni (dall'acrilico su tela, agli sketches ad altri supporti) dell'artista sempre rivolta con sguardo attento al dato contemporaneo che tanto ci influenza, e allora una Pietá che stringe tra le braccia un corpo che al posto della testa ha un bel monitor TV a tubi catodici acceso sul Grande Fratello, e ancora tv-volti Mediaset che si impiccano. O ancora il papa che orchestra uomini come un abile regista, o un coppia taglia over nuda seduta specularmente su poltrone da quiz show, rosse, che tenta di cambiarsi cambiando canale, (qualcuno spera nello spegnimento totale e permanente) signori scuri e lugubri incarnati e incarnanti i simboli di potere che al posto di un bicchiere di Starbucks succhiano linfa cerebrale da giovani cervelli. 
Nemo's riflette sulle forze di potere, sui simboli della cultura di massa, sui mass media e riconferma le tesi che già dai futuristi per arrivare a McLuhan o Orwell di come i moderni strumenti di comunicazione potessero influenzarci e di come questi esercitino su di noi vere e reali forme di controllo. E allora ecco che ci rivediamo come la nuda vita in quella gabbia sospesa, tra lo spaesamento e l'illusione fittizia di poter essere liberi. Cagacemento rimane uno dei pezzi su muro più forti (da menta strong) dell'artista, del 2010, a Milano, la creatura famelica, rosea e nuda si nutre avidamente di alberi per espellerli dal retro sottoforma di edifici, ed edifici, ed edifici in cemento, un'enumerazione più grigia di uno smog metropolitano. Sembra sentir cantare il rock politik Celentano ai tempi del ragazzo della via Gluck. "Perché continuano a costruire le case? E non lasciano l'erba. Non lasciano l'erba. Chissà se andiamo avanti così, chissà come si farà...". Chissà. 
L'immaginario allucinato della generazione apostrofo 'S come l'ho definita, targata Nemo's, ci lascia perplessi e perturbati in aperta riflessione con le cose che attorno a noi vivono anche se non ce ne accorgiamo, perché sì, non me ne vogliano i benpensanti se non mi avvalgo di una chiusura troppo raffinata ma Nemo's "spacca" letteralmente (o straccia in riferimento ai collage on wall) i lati B, d'altronde Cagacemento ce la dice #strong. Menta(l)mente.












The Monsters Mash @ Spazio San Giorgio, Bologna








Art of Sool
Opening Saturday 27th September 2014 - 7pm
27th September - 1st November 2014

La gente ha bisogno di un mostro in cui credere. Un nemico vero e orribile. Un demone in contrasto col quale definire la propria identità. Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi.
Chuck Palahniuk, Cavie, 2005

Un mash up mostruoso, ecco che cos’è “Monster Mash”.
Sia mash che mostro sono parole che vogliono porre l’accento sulla mescolanza, sull’ibridazione, sul melting pot, sul mescolone, sul cocktail, sull’infuso, sulla contaminazione di mostruosità mostruose.
Forse si tratta di un’ apologia del mostro?
Ma prima di farne una celebrazione è giusto porsi: che cos’è un mostro?
È per il senso comune definito come un personaggio reale o immaginario cui vengono attribuite caratteristiche straordinarie per i quali ci si discosta dalla norma, si trascende quindi il normale e l’ordinario. (Ma cos’è poi definito normale?)
Spesso usato con accezione negativa, mostro viene definito anche chi deforme o chi presenta anomalie estetiche.
Ma è venuto prima il mostro o l’uomo?
Antico come questa domanda probabilmente retorica, di mostri se ne parla fin dalle origini, allora scappa un’enumerazione che farà sicuramente eco nella memoria di tutti: dal mondo egizio a quello greco basta pensare a Cerbero, alle gorgoni, al minotauro, a polifemo, al ciclope, e ancora in altre civiltà e culture, ai troll agli orchi, alle loscuste, alle bestie del mare, a Satana stesso, al floklore e alle fiabe, dai golem, alla mandragola, la bestia della Bella e la Bestia, a Quasimodo nel gobbo di Notre Dame, ai folletti agli gnomi, ai lupi mannari, ai vampiri, alle streghe che hanno popolato libri o film, a Dracula, a Frankestein, Freddy Krueger, a King Kong, a Mr. Hide, all’uomo che ride di Victor Hugo, alle mummie, alle fantasmagorie allucinate del cinema espressionista tedesco dei primi decenni del Novecento (da Nosferatu al Dott. Caligari), al più recente immaginario che va dagli alieni ai cyborg, ai post-human, agli esseri biomorfi e neo tecnologici che hanno popolato l’immaginario di Floria Sigismondi con i celebri videoclip per Marilyn Manson o David Bowie.
Sembra proprio che l’essere umano li generi e li crei per confrontarsi e interrogarsi in qualche modo su se stesso.
L’essere mostruoso ha da sempre infatti ispirato tutte le arti visive, dalla pittura alla scultura, al cinema, alla musica, come non ricordare uno su tutti, il padre dei moderni visionari, Goya, il quale affermava proprio che:
“Il sonno della ragione genera mostri.”
E allora ecco che irrazionalmente e ironicamente, in taglio super neo-pop, il collettivo degli “Art of Sool” ci sforna una generazione di mostri ad hoc.
Confezionati in vero stile sool, dal grafismo famelico e preciso, leggero e vivace, la banda di mostri che ci sguinzagliano è tutto sommato confortante e per niente spaventosa.
Si perché se la società vigente ci vuole tutti bell’impacchettati con lo stesso fiocco, in questa età della super iper comunicazione, in piena globalizzazione, dove la standardizzazione sembra la nostra vera ombra, quest’ombra tanto vale perderla come faceva Peter Pan.
E i Sool lo sanno bene, tant’è che i loro mostri sono realmente diversi, sono dei freak, outsiders, dei mash-up visivi altisonanti, sono differenti perché probabilmente riconoscono le loro paure e cacciano via la maschera dell’omologazione e delle finte e buoniste velleità “umane”.
I cliché se li mangiano a colazione.
I mostri del giovane collettivo bergamasco attingono dal più vasto e folle immaginario, si cibano di ogni cosa o idea facendo sbarcare l’estro collettivo della gang dalla strada, al fumetto, dal wall painting, all’illustrazione, questi ragazzi si nutrono di pane e fantasia, lavorano a più mani, e la loro polifonica bravura e passione rischiara chiassosamente su qualsiasi supporto prendano in considerazione: dal muro alla tela, non c’è pietà per questa invasione salvifica mostruosa. Le immagini di fatto sono caotiche e rumorose, un vero rave visivo.
Un baccano pazzesco, accentuato dalle scritte a fumetto, dalle onomatopee e dalla scelta di composizione a patchwork.
Plastici e volumetrici e i personaggi riempiono tutto lo spazio, ove ce ne sia, la mostruosità è virale, dai colori caramellosi, e rotondi, sembrano intonsi a qualsiasi pioggia acida. Anche nei bianchi e neri tutto è gommoso.
Sono già di per sé corrosivi al punto giusto. Geneticamente modificati sono troppo indie per far veramente paura, sono underground, o al massimo vivono di notte, alla deriva, dei clown situazionisti acronici. Sono maschere di loro stessi e hanno superato Pirandello, non hanno bisogno di nascondersene dietro una vera di maschera, perché loro sono così, tutti diversi divisi dall’uguale.
Originari più che originali, un po’ come ferite aperte, uniche e irripetibili, pullulano e schizzano di vita, pian piano cicatrizzano il dolore e ne fanno un’identità. DNA ad alto tasso di sballatura.
Una parata di flâneur grotteschi, dall’umorismo smaltato che scivola tra le rotondità abbondantemente presenti.
Sembrano urlarci: mostrate i vostri mostri.
L’etimologia di mostrare non a caso, significa: far vedere, presentare ad altri perché veda, esamini, osservi. Rivelare, lasciare vedere. Offrirsi alla vista.
Quindi vuol dire anche un po’ donarsi, e questo soprattutto oggi fa paura.
Fa paura vedere, e allora ci si accontenta di guardare.
Abbiate perciò coraggio di scendere dalla giostrina felice della perfezione apparente.
Mica facile però quando ti s’incolla l’etichetta sul volto.
Un elogio al disagio e alla bruttezza, qualcuno se ne frega della grande bellezza. Decadenti da ridere, un brutto rock, perfino Ensor si farebbe un selfie tra la monster walking targata Sool.
Comicità a parte, i Sool con questa new generation, ci fanno riflettere sulla paura dell’essere diverso, perché è più facile omologarsi che mostrarsi veramente. Ed oggi il mondo è pieno zeppo di paura e l’uomo preferisce giudicare ed escludere piuttosto che capire e integrare.
Chi sono allora i veri mostri?
Prendendo a prestito una cara frase dal film “Forrest Gump” viene quasi da dire:
“Mostro è chi mostro fa.” O forse ancora più opportuno apportando una lieve modifica: “Mostro è chi mostra di sé non fa.”

Federica Fiumelli - Spazio San Giorgio