Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

martedì 21 ottobre 2014

The Monsters Mash @ Spazio San Giorgio, Bologna








Art of Sool
Opening Saturday 27th September 2014 - 7pm
27th September - 1st November 2014

La gente ha bisogno di un mostro in cui credere. Un nemico vero e orribile. Un demone in contrasto col quale definire la propria identità. Altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi.
Chuck Palahniuk, Cavie, 2005

Un mash up mostruoso, ecco che cos’è “Monster Mash”.
Sia mash che mostro sono parole che vogliono porre l’accento sulla mescolanza, sull’ibridazione, sul melting pot, sul mescolone, sul cocktail, sull’infuso, sulla contaminazione di mostruosità mostruose.
Forse si tratta di un’ apologia del mostro?
Ma prima di farne una celebrazione è giusto porsi: che cos’è un mostro?
È per il senso comune definito come un personaggio reale o immaginario cui vengono attribuite caratteristiche straordinarie per i quali ci si discosta dalla norma, si trascende quindi il normale e l’ordinario. (Ma cos’è poi definito normale?)
Spesso usato con accezione negativa, mostro viene definito anche chi deforme o chi presenta anomalie estetiche.
Ma è venuto prima il mostro o l’uomo?
Antico come questa domanda probabilmente retorica, di mostri se ne parla fin dalle origini, allora scappa un’enumerazione che farà sicuramente eco nella memoria di tutti: dal mondo egizio a quello greco basta pensare a Cerbero, alle gorgoni, al minotauro, a polifemo, al ciclope, e ancora in altre civiltà e culture, ai troll agli orchi, alle loscuste, alle bestie del mare, a Satana stesso, al floklore e alle fiabe, dai golem, alla mandragola, la bestia della Bella e la Bestia, a Quasimodo nel gobbo di Notre Dame, ai folletti agli gnomi, ai lupi mannari, ai vampiri, alle streghe che hanno popolato libri o film, a Dracula, a Frankestein, Freddy Krueger, a King Kong, a Mr. Hide, all’uomo che ride di Victor Hugo, alle mummie, alle fantasmagorie allucinate del cinema espressionista tedesco dei primi decenni del Novecento (da Nosferatu al Dott. Caligari), al più recente immaginario che va dagli alieni ai cyborg, ai post-human, agli esseri biomorfi e neo tecnologici che hanno popolato l’immaginario di Floria Sigismondi con i celebri videoclip per Marilyn Manson o David Bowie.
Sembra proprio che l’essere umano li generi e li crei per confrontarsi e interrogarsi in qualche modo su se stesso.
L’essere mostruoso ha da sempre infatti ispirato tutte le arti visive, dalla pittura alla scultura, al cinema, alla musica, come non ricordare uno su tutti, il padre dei moderni visionari, Goya, il quale affermava proprio che:
“Il sonno della ragione genera mostri.”
E allora ecco che irrazionalmente e ironicamente, in taglio super neo-pop, il collettivo degli “Art of Sool” ci sforna una generazione di mostri ad hoc.
Confezionati in vero stile sool, dal grafismo famelico e preciso, leggero e vivace, la banda di mostri che ci sguinzagliano è tutto sommato confortante e per niente spaventosa.
Si perché se la società vigente ci vuole tutti bell’impacchettati con lo stesso fiocco, in questa età della super iper comunicazione, in piena globalizzazione, dove la standardizzazione sembra la nostra vera ombra, quest’ombra tanto vale perderla come faceva Peter Pan.
E i Sool lo sanno bene, tant’è che i loro mostri sono realmente diversi, sono dei freak, outsiders, dei mash-up visivi altisonanti, sono differenti perché probabilmente riconoscono le loro paure e cacciano via la maschera dell’omologazione e delle finte e buoniste velleità “umane”.
I cliché se li mangiano a colazione.
I mostri del giovane collettivo bergamasco attingono dal più vasto e folle immaginario, si cibano di ogni cosa o idea facendo sbarcare l’estro collettivo della gang dalla strada, al fumetto, dal wall painting, all’illustrazione, questi ragazzi si nutrono di pane e fantasia, lavorano a più mani, e la loro polifonica bravura e passione rischiara chiassosamente su qualsiasi supporto prendano in considerazione: dal muro alla tela, non c’è pietà per questa invasione salvifica mostruosa. Le immagini di fatto sono caotiche e rumorose, un vero rave visivo.
Un baccano pazzesco, accentuato dalle scritte a fumetto, dalle onomatopee e dalla scelta di composizione a patchwork.
Plastici e volumetrici e i personaggi riempiono tutto lo spazio, ove ce ne sia, la mostruosità è virale, dai colori caramellosi, e rotondi, sembrano intonsi a qualsiasi pioggia acida. Anche nei bianchi e neri tutto è gommoso.
Sono già di per sé corrosivi al punto giusto. Geneticamente modificati sono troppo indie per far veramente paura, sono underground, o al massimo vivono di notte, alla deriva, dei clown situazionisti acronici. Sono maschere di loro stessi e hanno superato Pirandello, non hanno bisogno di nascondersene dietro una vera di maschera, perché loro sono così, tutti diversi divisi dall’uguale.
Originari più che originali, un po’ come ferite aperte, uniche e irripetibili, pullulano e schizzano di vita, pian piano cicatrizzano il dolore e ne fanno un’identità. DNA ad alto tasso di sballatura.
Una parata di flâneur grotteschi, dall’umorismo smaltato che scivola tra le rotondità abbondantemente presenti.
Sembrano urlarci: mostrate i vostri mostri.
L’etimologia di mostrare non a caso, significa: far vedere, presentare ad altri perché veda, esamini, osservi. Rivelare, lasciare vedere. Offrirsi alla vista.
Quindi vuol dire anche un po’ donarsi, e questo soprattutto oggi fa paura.
Fa paura vedere, e allora ci si accontenta di guardare.
Abbiate perciò coraggio di scendere dalla giostrina felice della perfezione apparente.
Mica facile però quando ti s’incolla l’etichetta sul volto.
Un elogio al disagio e alla bruttezza, qualcuno se ne frega della grande bellezza. Decadenti da ridere, un brutto rock, perfino Ensor si farebbe un selfie tra la monster walking targata Sool.
Comicità a parte, i Sool con questa new generation, ci fanno riflettere sulla paura dell’essere diverso, perché è più facile omologarsi che mostrarsi veramente. Ed oggi il mondo è pieno zeppo di paura e l’uomo preferisce giudicare ed escludere piuttosto che capire e integrare.
Chi sono allora i veri mostri?
Prendendo a prestito una cara frase dal film “Forrest Gump” viene quasi da dire:
“Mostro è chi mostro fa.” O forse ancora più opportuno apportando una lieve modifica: “Mostro è chi mostra di sé non fa.”

Federica Fiumelli - Spazio San Giorgio











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