Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

martedì 8 agosto 2017

Flavio Pacino - Natura Naturans - @LAGOLANDIA - Castel dell'Alpi

link: http://www.ofcn15.com/eventi/lagolandia-2017-castel-dellalpi/








Quando eravamo bambini, pensavamo che una volta cresciuti non saremmo più stati vulnerabili. Ma crescere vuol dire accettare la vulnerabilità. Essere vivi significa essere vulnerabili. Madeleine L'Engle, Walking on Water, 1980

Flavio Pacino indaga e lavora sullo spazio fisico, ambientale tramite la trasposizione materica del segno.
Un segno effimero, contemporaneo che sfugge dalla cornice e dal contesto, da una propria bidimensionalità concettuale per rendersi materia fisica, corpo caduco.
In molti suoi lavori Pacino conduce e ci conduce attraverso la propria poiesis in una ricerca sull’adattabilità.
Un adattabilità che diviene sistematicamente vulnerabilità.
Una ricerca mobile che diviene abbandono di pose precostituite.

Forse l'immobilità delle cose intorno a noi è loro imposta dalla nostra certezza che sono esse e non altre, dall'immobilità del nostro pensiero nei loro confronti.” (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto)

Guardando ad alcune delle ricerche storico – artistiche tra le più importanti del secolo scorso come land art, minimalismo e ad alcune operazioni dell’arte povera, possiamo dire che Pacino ripopola certi codici linguistici utilizzando elementi semplici sia nella forma che nella consistenza, egli infatti predilige per le sue installazioni utilizzare (s)(segni)- legni, possibilmente e preferibilmente non lavorati dall’artista, ma soggetti quindi a erosioni climatiche – atmosferiche o precedentemente lavorati industrialmente. L’objet-trouvè di avanguardistica memoria, ritorna prepotentemente, irrompendo in un contemporaneo liquido, dove il segno  etereo (l’immagine) sembra sempre di più prevalere.
Ecco allora che la trasposizione fisica di un di-segno (traccia, indizio, interstizio, visione attraverso la quale, ma mai risolutoria) iniziale essenziale, costituito da pochi tratti e linee, torna ad occupare spazi di origine diversa, che siano essi naturali, domestici, o spazi pubblici espositivi come gallerie o musei. All’artista interessa che i legni utilizzati assemblati con resine acriliche, permettano operazioni duttili, scultoree, corporee, come corpo danzante danza, le installazioni di Pacino si innestano delicatamente, soggette ad una trasversalità temporale di cambiamento dalla quale esimersi è impossibile.
Adattarsi ad uno specifico spazio (come in questo caso, per Lagolandia, il lago naturale di Castel Dell’Alpi) richiede una profonda analisi di contesto, di ambiente; lo sforzo diventa urgenza e la vulnerabilità ci riporta ad una caducità propria del contemporaneo, così labile e complessa.
Insisto sul concetto di vulnerabilità, perché esso coincide puntualmente con una straordinaria ipotesi, e cioè quella della possibilità dell’essere. Una possibilità dell’essere modificato, urtato, distrutto, perito, leso, spezzato.  Il legno, come elemento d’elezione, è una datità fenomenica caduca ma essenziale in natura.
L’alfabeto visivo di Pacino infatti si nutre di pose e ritmi essenziali, che siano essi lacci, elastici, fasce, stelle filanti, nastri, rami di piante, l’esilità (una fragilità tellurica e vibrante alla Calder), lunghezza e leggerezza si incontrano e si fondono in una trasparenza cosmogonica, per dare forma a riflessioni sullo spazio e sulla quotidianità. Uno spazio ed una quotidianità  troppo spesso condivise unicamente virtualmente, depauperate,  e allora occorre (ri) tornare ad una fisicità che come esigenza si prefigge un dialogo con l’essere mondo e nel mondo.
Vulnerabilità che vuol essere anche perdita originaria di un elemento o di un segno primario per poi ricondurlo, riportarlo ad una adattabilità, appunto, di nuove spazialità temporali. Di ipotesi.
Oggi come non mai l’arte pubblica richiama grande attenzione sia da parte dei fruitori  distratti per così dire, i non addetti o direttamente coinvolti nel sistema dell’arte contemporanea, che agli esperti, quali studiosi o critici.  Pacino, giovanissimo, decide di ragionare proprio su queste complessità di condivisone di spazi pubblici, attraverso una grafia ed una gestualità minimale, fisica, scultorea, elastica, non invasiva, ma adattabile ad uno spazio critico di cambiamento. Di condivisione.

Federica Fiumelli



BIO // Flavio Pacino, Firenze 1993
Inizia il suo percorso progettando tessuti e pattern all’Istituto Buzzi di Prato. Nel 2010 inizia i suoi studi di pittura nello studio dell’artista Fran Bobadilla.
Si laurea come progettista in design della comunicazione e del prodotto all’ISIA di Firenze nel 2016. Dal 2013 al 2016 lavora come assistente progettista nello studio d’arte e progettazione WAVE BUBA di Firenze.
Attualmente frequenta il biennio di Arti visive dell’artista Luca Caccioni all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Alterna i suoi studi e il suo lavoro tra arte e design.








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