Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

martedì 27 agosto 2013

Eugenio Recuenco 31 Agosto - 16 Novembre 2013 presso CWC Gallery, Berlino.

L'estate sta finendo, molti stanno rientrando a lavoro dalle ferie, altri magari andranno in vacanza, tutto è in movimento, tutto continua, e la creatività e le mostre anche.


A questo proposito, l'arte, la nostra instancabile amica si manifesterà tramite l'estro dell'artista spagnolo Eugenio Recuenco, che avrà una personale alla CWC Gallery di Berlino dal 31 Agosto.

Ecco il mio articolo sul Wall Street International Magazine:
http://www.wsimagazine.com/it/diaries/agenda/art/eugenio-recuenco_20130827075408.html#.UhylW9I9OSo

Enjoy!
:)


AGENDA - Germany, Arti

Eugenio Recuenco

31 Agosto - 16 Novembre 2013 presso CWC Gallery, Berlino.

Eugenio Recuenco

“L’estetica è più alta dell’Etica; appartiene ad una sfera più spirituale.”
“Si dice che la Bellezza non è che superficiale; ciò può darsi; ma in ogni modo ella è assai meno superficiale del Pensiero.” - Oscar Wilde

Eugenio Recuenco, artista-fotografo di fama internazionale, dopo varie esposizioni in vari parti del globo, il prossimo 31 Agosto fino al 16 Novembre avrà una personale alla CWC gallery di Berlino.
Il fotografo di Madrid ci illustra frequentemente mediante i suoi scatti quanto sia possibile tramite l’uso del mezzo fotografico dare vita al sogno. Perché di sogni noir, fatati, glamour si tratta nelle misé en scene di Recuenco. Impeccabile, di una bellezza lucida, patinata, smaltata i personaggi protagonisti. Di una freddezza ferrea e nobile, alata, alta, fiera, una bellezza dirompente e barocca di dettagli mai lasciati al caso, tutto è studiato, tutto sembra essere un set cinematografico.
In che film mi troverò alla prossima immagine? Quanto la vita può essere artificio? Quanto la vita può rassomigliare all’idea fantasy che uno ne ha? Quanto la vita può mescolarsi alla fiaba?
Gli scatti di Recuenco sono sempre posti sotto un riflettore di scultorea bellezza, sembra sempre di attraversare set di film, una passeggiata tra pellicole di registi famelici di favole. Tim Burton sembra dietro l’angolo.
Dal gusto decisamente pittorico, l’artista ci propone veri e propri tableaux-vivants, la finzione immaginaria sembra toccare la cima più alta dell’Olimpo.
Paradossi, scene grottesche, trucchi circensi, da mimi sperduti, da pierrot solitari, un frullato di surrealtà zeppe, ipertrofiche, avvolgenti, perturbanti, stillati di non-sense. Modelli e modelle dai lineamenti spigolosi, sguardi gelidi e congelanti, profondi, che scavano la pellicola fotosensibile, sembrano non appartenere alla norma, la rifiutano, sono sofisti, detengono la bellezza e la perfezione in uno scrigno fotografico.
Quanto il sogno assomiglia all’arte? O quanto l’arte assomiglia al sogno? Il confine di seta è labile e delicato. Adorabile a tal proposito è la serie di scatti dove delle modelle vengono poste in stretta relazione con alcuni quadri di Picasso, nei quali le figure muliebri si auto-generano con tratti geometrici. Una reinterpretazione ben riuscita dell’arte picassiana in chiave prettamente fashion. La moda si specchia nell’arte in un continuum dialogo narcisistico. Recuenco, un fotografo che è cappellaio matto nel mondo di Alice, e Alice sono tutti i suoi personaggi, assurdi, barocchi, esoticamente noir, fumosamente fantastici.
Nature morte sensuali, dai nudi scarificali, e pallidi, tutto sembra una tortuosa posa, una dirompente messa in scena, una grido soffocato alla bellezza, una decapitazione all’impossibile, perché la perfezione nell’attimo fotografico è realmente possibile.
In alcuni scatti di moda, Recuenco sembra mescolare al meglio i mondi fiabeschi e ricamati di McQueen, le perfezioni di Avedon o Demarchelier, le assurdità di Thom Browne e Les Krims.
E poi cappuccetto rosso, Biancaneve, dame settecentesche, le fiabe ritrovano una dimensione estetica ghiacciata, sospesa in un altrove non datato, che non ha memoria, né domani. Intensa la Bella e la Bestia, dove a un grande quadro raffigurante una storpiante bruttezza maschile viene contrapposta una filante bellezza di donna, morbida e sottile, adagiata come una Venere su un divanetto azzurro-oro, presenziano arazzi e pieghe di vesti, che sono onde di oceani nordici e sognanti.
Un’estrema ricerca di bellezza elisabettiana in alcuni ritratti fotografici, dove le modelle rappresentano l’idea di caducità cristallina, sono cristalli caduchi, ragnatele che catturano lo sguardo, fragili dall’enorme mole di bello scagliato.
Teatri di assurda e assordante bellezza.
Plasticità convulsa, talmente smaltata da ricordare la nevosa a-sonorità dei film muti anni trenta negli scatti rappresentanti un uomo-carillon sbirciante da una serratura, perché i mondi di Recuenco sono veramente piccoli carillon, piccoli scenari, fabbriche perpetue di sogni dove la moda atterra soave, e noi tutti siamo piccoli voyeur, piccoli lillipuziani in cerca di isole incontaminate, isole che alla maniera di Wilde sono naufraghe imbevute di un estetismo stremante e corale.
Trionfanti come la quinta di Beethoven, un esercito di Dorian, un esercito napoleonico di opere d’arte i personaggi di Recuenco, sinfonie conquistatrici di bellezza d’haute couture.
Testo di Federica Fiumelli

Cwc Gallery
Auguststrasse 11–13
Berlin–Mitte 10117 Germania
Tel. +49 30 24048614
info@camerawork.de
camerawork.de
Orari di apertura
Martedì - Sabato
Dalle 11.00 alle 19.00
Pubblicato: Martedì, 27 Agosto 2013
Autore: Federica Fiumelli



















martedì 13 agosto 2013

Avery K. Singer. Architetta e regista di misé en scene silenziose, meccaniche e agrodolci.

Ecco pubblicato il mio ultimo articolo su una giovanissima e bravissima 
(vai di superlativi) artista newyorkese:

Avery K Singer sul Wall Street International Magazine.

Versione Italiana e versione inglese.

Enjoy!

:)

Link:

http://www.wsimagazine.com/it/diaries/report/arte/avery-k-singer_20130813152634.html#.UgrZ2tI9OSo

http://www.wsimagazine.com/uk/diaries/report/art/avery-k-singer_20130813153436.html#.Ugraa9I9OSo





REPORT - United States, Art

Avery K. Singer

She plans and register quiet mechanical and bittersweet mises-en-scene.

Avery K. Singer

It happened a few months ago, when I was reading an article published on Vogue, which it was dealing with a weekend in Berlin, that I found the work of a young artist from New York, Avery K Singer.
Born in 1987, Avery K Singer has gained a place for an art exhibition in a State-of-art gallery in Berlin, called The Kraupa – Tuskany Zeidler. The artist's works represent a mix of Cubism, neo-Plasticism, Constructivism and 3D animation, from the abstract to the concrete. It seems a “Tale of Ordinary Madness”, like Bukowski would have said. The Saturday Night scene releases a little bit of an early nostalgic flavour which comes out from a bottle full of Morandian echos. The protagonist falls on a counter. Everything seems a loneliness made of volumes and shadows, white, black and greycolors, conflicting dichotomies, alcohol and happy memories which are believed to be presumed. Everything is sculpture, a sculpture full of pain which turns into tired and rainy shadows. It seems to hear from afar the Tom Waits' rough voice that sings Blue Valentines, like a heart-rending echo.
Avery K Singer has been given us some acrylic paintings on canvas, on a black and white background, until now. She gives her works of art a suspension effect, like it was a mute film of the 30s. She realized some astonishing works, entitled “Performance Artists”, “The Great Muses”, “Interrogation Spotlight”, “Dancers around an Effegy to Modernism”. They are real constructions, mise-en-scenes, that seem to dialogue, instead of hailing from the past.
It is an authentic reconstruction of a true story, located at the present time. Avery K Singer let her artsubmit towards the primitive and mechanic, the antiquity and the future.
It wasn't impossible to avoid devisiting the angularity of the great Picassian masterpiece “Demoiselles d'Avignon”, the cubist plasticity, or the reconstructional conception of the Universe in a rational and geometrical way. In addition, it wasn't impossible to forget finding back the classical puppets, the dummies, the typical muses of the Dechirichian memory, in those standardized frozen and metaphysical situations which only Avery K Singer is able to create.
The influence of the black masks, the multiple points of view, the treatment of the geometricized and mechanomorphous bodies, plastical and independent shapes which descend from the psychical and logical perceptions.
Everything is oriented towards this concreteness, which is loved and eulogized by the cubist painters. The version represented by Avery K Singer is an instance of a substituted life, it can be described as the alcoholic side of dreams and visions. The young artist from New York is inspired by the great historical Avant-garde, she treasures this kind of artistic tendency, she takes care of her secrets, she reelaborates them, she gives her secrets a new and contemporary scent.
The Singer's painting is a nostalgic, but at the same time ever-functioning music box. The characters are usually crossed by grilled shadows. Horizontal and vertical lines meet each other like they were secret and contorted jails, or prisons full of memory from whom come out fleeting looks. Those who love admirating these masterpieces are, for sure, gorgeous and jealous of these visionary microcosms.
Moreover, in works like “Fellow Travelers, Flaming Creatures”, it seems that a talented new fashion photographer or a geometricized Avedon takes pictures of iconic models whose hair turns into real rungs and it seems that their heights keep on leading towards a gravityless lack of though. Everything is located in a crazy photographic set, obviously. What counts is the shape.
Her works realized in 2012 and 2011 are characterized by the presence of an inspiration, descending from the classical Picassian primitivism, surrounded by several solitary and naked geometrical muses. The blacks and the whites are fused on greyscales, between volumes and abstractions, which give us a transcendental and sober atmosphere, fashionable, like we were behind a vodka Martini olive juice, the typical cosmopolitan New York City cocktail, that is elegant and light, with nuanced colors and a bit of ash, fade and as a consequence a rational and plastical depot.
She plans and register quiet mechanical and bittersweet mises-en-scene. Avery K Singer will continue to wonder us, for sure.
Published: Tuesday, 13 August 2013
Author: Federica Fiumelli

Avery K. SingerAvery K. SingerAvery K. Singer

Avery K. Singer

Architetta e regista di misé en scene silenziose, meccaniche e agrodolci.

Avery K. Singer

E’ stato sfogliando Vogue qualche mese fa, leggendo un articolo su un weekend a Berlino che ho scoperto il lavoro della giovanissima artista newyorkese Avery K. Singer.

Nata nel 1987 Avery K. Singer ha avuto una personale in una delle gallerie berlinesi di ultima generazione, la Kraupa – Tuskany Zeidler. Tra astratto e concreto i lavori dell’artista sono un cocktail di cubismo, neoplasticismo, costruttivismo e animazione 3D. Sembra una storia di ordinaria follia, per dirla alla Bukowski, dal sapore nostalgico e primitivo la scena di “Saturday Night” con una bottiglia dagli echi morandiani, il protagonista si accascia su un bancone, una solitudine fatta di volumi e ombre, di bianchi e neri, di grigi, dicotomie contrastanti, alcool e presunti ricordi felici. Scolpito dai suoi stessi dolori che divengono ombre pioventi e stanche. Sembra quasi di sentire in lontananza, come un eco struggente e malinconico, graffiante la ruvida voce di Tom Waits cantare Blue Valentines.

Avery K Singer ci ha regalato fin ora acrilici su tela in bianco e nero, dando un effetto di sospensione, da film muto anni trenta.
“Performance artists”, “The Great Muses”, “Interrogation Spotlight”, “Dancers around an Effegy to Modernism”, titoli dei lavori del 2013, costruzioni, messe in scena, che sembrano dialogare piuttosto che derivare dal passato.

Una ricostruzione della storia innestata nel contemporaneo. Tra primitivo e meccanico, tra antico e futuro si perde l’arte della Singer.

Come non ritrovare le spigolosità delle forme care alle Demoiselles d’Avignon, o le plasticità cubiste, o la concezione di ricostruzione dell’universo in maniera geometrica e razionale? Come non ritrovare i fantocci, i manichini, le muse di Dechirichiana memoria, nelle situazioni congelate e metafisiche della Singer?

L’influsso delle maschere negre, la molteplicità di punti di vista, il trattamento dei corpi geometrizzante e meccanomorfo, forme plastiche autonome derivanti da percezioni psichiche o logiche, il tutto verso quella concretezza che fu cara ai cubisti. Un surrogato alla realtà, la versione un po’ alcolica di sogni e visioni, quella di Avery.

La giovane artista newyorkese si lascia ispirare dalle grandi Avanguardie storiche, ne fa tesoro, ne custodisce i segreti, li fa suoi, e li rielabora, ne da un nuovo aspetto con occhio e profumo contemporaneo, un carillon nostalgico ma sempre funzionante la pittura della Singer. I personaggi spesse volte sono attraversati da ombre a griglia, linee orizzontali e verticali si incontrano quasi a dare l’idea di una prigionia tortuosa e segreta, carceri di sguardi o di memoria, chi guarda è sicuramente un voyeur goloso e geloso di questi piccoli mondi visionari. In “Fellow Travelers, Flaming Creatures” sembra che un fotografo magari di moda, un Avedon geometrizzato scatti foto su un folle set fotografico a modelle non bioniche ma iconiche, capelli che sono gradini, altezze che portano ad assenza di gravità di pensiero. Quello che conta è la forma.

Nei lavori del 2012 e 2011 è ancora più forte la presenza di un ispirazione derivante dal primitivismo di origine picassiana, di muse solitarie dai nudi geometrici. I bianchi e i neri, fusi nell’intermezzo del grigio, tra volumi e astrazioni ci donano un’atmosfera trascendentale e sobria, chic, da martini bianco e olive, da aperitivo newyorkese cosmopolita, elegante e leggero, colori da fumo e cenere, dissolvenza e poi deposito razionale e plastico.

Architetta e regista di misé en scene silenziose, meccaniche e agrodolci Avery K Singer sicuramente ci stupirà ancora.
Pubblicato: Martedì, 13 Agosto 2013
Autore: Federica Fiumelli

Avery K. SingerAvery K. SingerAvery K. Singer

lunedì 29 luglio 2013

Nathalie Djurberg. Sono bella e muto come la materia.

Ecco il mio ultimo articolo su un'artista svedese, molto molto interessante.

On Wall Street International Magazine:

http://www.wsimagazine.com/it/diaries/report/arte/nathalie-djurberg_20130727081445.html#.UfZptdI9OSo




Enjoy!
:)


REPORT - Sweden, Arte

Nathalie Djurberg

Sono bella e muto come la materia.

Nathalie Djurberg
Sono bella, o mortali, come un sogno di pietra e il mio seno,
cui volta a volta ciascuno s'è scontrato,
è fatto per ispirare al poeta un amore eterno e muto come la materia.

Baudelaire
Ma cos’è la bellezza? Che valore ha oggi nel contemporaneo? Mesi fa ebbi la fortunata occasione di vedere una mostra al Centro di cultura contemporanea a Palazzo Strozzi a Firenze, una collettiva di cinque artisti, un filo conduttore, l’arte di Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea. Quale spunto migliore se non quello della rappresentazione del corpo umano per riflettere su un concetto di bellezza, di interpretazione, di visione. Pensiamo alla classicità della statuaria greca, alla perfezione, al canone di Policleto, pensiamo alla burrosità dei nudi di Tiziano, alla rigidità cubista, ai corpi fluttuanti di Chagall. Il corpo come involucro di un certo tipo di bellezza. Bellezza intesa come interpretazione del proprio tempo.

Gran parte dell’arte del Novecento ci ha dimostrato quanto l’imperfezione e la bruttezza diventino nuovi canoni estetici. Un esempio interessante di bella mostruosità è sicuramente il lavoro che da subito mi ha colpito della giovane artista svedese Nathalie Djurberg. “Sono bella e muto come la materia”. È proprio di una brutta bellezza materica di cui si occupa il modus operandi della Djurberg. Vincitrice dell’importante e prestigioso Premio Pino Pascali lo scorso dicembre, cattura da subito l’attenzione con le sue video-sculture, figurine di plastilina, riprese con la tecnica di stop motion. Pupazzi che hanno il più alto sapore orrifico, veneri storpie dai grandi seni ipertrofici, dalle forme sinuose e pericolose, dalle smorfie di Meduse sotto effetto di acidi.

La Djurberg dà forma all’incubo, al grottesco, al terribilmente brutto, corona il sogno di una contro bellezza, di una deformazione distorta, inglobante, amplificata. Animali, mostriciattoli, corpi grossolani o terribilmente sottili, volti truccati, capelli in disordine, occhiaie e coloriti non invidiabili, personaggi anonimi, fagocitanti tutto il malessere, si deformano, si contorcono, si decompongono e rinascono da loro stessi. Sono produttori della loro stessa distruzione, rinascono da loro stessi, sono padroni di un'autogenerazione plastica, tattile. Incarnano a tre dimensioni il sogno distorto di Bacon, sono marionette di un teatro a rallentatore, sincopato, a tratti.

Veneri storpie che si mettono a nudo dei loro difetti, eccessive, iperboliche, si mettono in discussione, senza alcun velo di Maya arrivano dritte dritte al disgusto, ricordano l’irriverente percorso fotografico nella moda di Cindy Sherman. Essere brutto è il nuovo trend mood. L’arte della Djurberg è sì perturbante alla maniera di Freud ma è anche ironica, spinge ma non fa cadere, l’aria di gioco, di scherzo, è sempre presente. Sciamana scultrice di una bellezza pasticciatissima, crea maschere che diventano mappe kitsch.

Eros e thanatos si incontrano nella clay animation griffata Djurberg, esorcisti degli incubi più repressi si manifestano a gran voce, sotto ampi riflettori, sono virus appariscenti e materici, ingombranti, dalle opulenze arroganti. Questi personaggi sono incidenti materici, protagonisti di b movies casuali, risorgimenti insorti, aborti abbozzati, antieroi, loser mostrificati, attraversano i tubi catodici della video art più platinosamente contemporanea.
Pubblicato: Sabato, 27 Luglio 2013
Autore: Federica Fiumelli

Nathalie DjurbergNathalie DjurbergNathalie Djurberg
Nathalie DjurbergNathalie DjurbergNathalie Djurberg

giovedì 25 luglio 2013

When you write with HE-ART.

"Questo cuore avvolto nella carta dei giornali."

O più semplicemente aperto sull'oceano di inchiostro, carta e parole.
Questo cuore in piena. HE-ART.


La gioia nel riscontrare che quell'insieme pastosa di scrittura e sensi combacia con il pensiero dell'altro.
Soprattutto se scrivi su un certo tipo di arte che incontri e l'artista autore rimane entusiasta.
La chiamano felicità in pillole.

(Speriamo sia in continuo aggiornamento)







venerdì 19 luglio 2013

Guim Tió. La soledad de los números primos.

Ecco un articolo dedicato ad un artista spagnolo di Barcellona che ho adorato dal primo momento.

Versione spagnola e italiana sul Wall Street International Magazine.

http://www.wsimagazine.com/es/diaries/report/arte/guim-tio_20130705100556.html#.UelKOdI9OSp

http://www.wsimagazine.com/it/diaries/report/arte/guim-tio_20130712093630.html#.UelKw9I9OSo



Enjoy!


:)



REPORT - Spain, Arte

Guim Tió

La soledad de los números primos.

Guim Tió
Mine Guim
14.963 likes en Facebook; un nombre: Tio Zarraluki, un lugar: España, exactamente Barcelona. Todo ocurrió por casualidad, navegando en la red, en la que una tarde, encontré los trabajos de este joven artista español, los cuales me fascinaron inmediatamente. ¡ Justfallinlove!
Una colección de retratos, femeninos y masculinos, rostros andróginos, cuellos largos inclinados hacia nosotros, que recuerdan vagamente las larguras de Modigliani: miradas que asombran y alucinan. Los retratos de Guim son alteraciones de fotografías de moda, de publicidades que invaden las revistas de la misma categoría, como Vogue. Guim, con gran habilidad transformadora, vuelca la realidad como si fuera un idílico sofista, la falsifica como un maquillador con estilo y le da otra dimensión, tan distinta al habitual sistema de la moda. La belleza propuesta por Guim es pintoresca, reelaborada con pasteles, delimita los rostros de pastel, los hace sobresalir desde la nada, no importa si son blancos, negros o grises. Parecen marionetas con narices rojas o amarillas, una representación de la moda bufo y original, una cajita musical con ojos grandes, englobantes, como discos de vinilos que suenan melodías indie o rock. Son sueños extraños, perturbantes, se nos pegan como cola, son exuberantes y emanan frecuencias únicas.
Guim hace resaltar los ojos, las narices y las bocas, a veces introduce formas geométricas como los triángulos, borra otras miradas o mantiene bocas a medio sonreír, gloriosas y carnosas. Recuerda vagamente las geometrías del Bauhaus, pero un poco más sucias, más difuminadas, imprecisas, humosas. Las mujeres de Guim son humos evanescentes, pastelosos y colorados, ligeros y solitarios. El ojo se convierte en el centro del mundo, se proyecta hacia el infinito, es perfección, periodicidad, obsesión, profundidad, vacío, límite. Sus seres son turbados, inciertos, mutantes, de una nueva especie, los habitantes de Guim Tió.
Intentan seducir. Mei, Freda, Sacra, Icar son payasos de un mundo perdido, con pómulos amarillos, disquetes indiscretos, identificables por un enrojecimiento anómalo. Son payasos tristes en un mundo de comicidad congelada. Es como si Guim marcara, con sus huellas de pastel, el perfil que cada uno, o a su manera, la idiosincrasia de su alma. Las peculiaridades de la nariz suelen exaltarse, los ojos se convierten en abismos que engloban el naufragio de los impecables sistemas de la moda. Guim da color a las sombras de la moda.
Doma y Martin: hombres anónimos que encarnan un eterno estado de sueño, de transe, con un subconsciente de pastel, pesadillas y sueños, atraviesan las miradas, se convierten en protagonistas de un teatro absurdo, de un existencialismo blando y listo para cortar, ligero y al mismo tiempo cargado como si fueran nubes oscuras, una gota o una lágrima que pudiera limpiar de las caras el dolor de la memoria, el maquillaje de pastel que pone en escena las máscaras de la comedia. Doma, con pómulos rojos, bigotes y ojos compuestos por circulillos blancos y marrones, parece un equilibrista, un funámbulo perdido en el espacio, confundido en sus recuerdos, en una psicosis transcendental que se refleja en un equilibrio roto.
El artista español también ha conquistado una ciudad como Taipei, gracias sobre todo a la reciente exposición The Dark Side of The Moon: lo que Guim regala a sus huéspedes es el lado obscuro de la luciente luna.
En lo que se refiere a Tian, sólo puedo decir que es uno de mis favoritos. Se queda envuelto en un aura blanquecina, que emerge de un homogéneo y humoso gris smog, ojos cerúleos, nariz piramidal y faraónica, como Pitágoras y una sonrisa enigmática, fascinante, divertida, irónica, con un pellizco de sensualidad, pero siempre pastelosa, una nueva Sonrisa de Mona Lisa. Los personajes de Guim son solitarios, unívocos, dibujan sobre un espejo de agua la soledad de los números primos, divisibles solamente por uno y por sí mismos.
Fotos:
1. Sacra Guim
2. Ito Guim
3. Doma Guim
4. Doma Guim
5. Delargo Guim
6. Icar Guim
Publicado: Viernes, 5 Julio 2013
Autor: Federica Fiumelli

Guim TióGuim TióGuim Tió

Guim Tiò

Come clown di un mondo perduto.

Mei Guim
14.963 like su Facebook, un nome, Guim Tiò Zarraluki, un luogo, la Spagna, specificamente Barcellona. 
È curiosando sul web, per caso, che un pomeriggio sono inciampata nei lavori di questo giovane artista spagnolo che mi hanno decisamente incantata. #justfallinlove! Una serie di ritratti, femminili e maschili, visi androgini, colli lunghi affacciati verso di noi, che ricordano vagamente le lunghezze alla Modigliani, e poi sguardi che incatenano, allucinati. I ritratti di Guim sono alterazioni delle fotografie di moda, delle pubblicità che invadono le riviste come Vogue, Guim, da abile trasformatore, ribalta la realtà da sognante sofista, la ritrucca da stiloso make-up artist, dona un'altra dimensione, altri occhi al consueto fashion system.

La bellezza proposta da Guim è colorata, rielaborata con pastelli a olio, delimita i volti pastosamente, li fa emergere dal nulla, da bianchi, neri o grigi. Sono marionette dai nasi rossi o gialli, un teatro di moda buffo e originale, un carillon di occhi grandi, inglobanti, come dischi e vinili suonano musiche indie o rock, sono suoni strani, perturbanti, fissano come colla, appiccicano esuberanti, emanano strane frequenze. Guim risalta occhi nasi e bocche, a volte inserisce solidi geometrici come i triangoli, cancella sguardi, mantiene bocche e semi-sorrisi gloriosi e carnosi. Ricordano vagamente le geometrie del Bauhaus, ma più sporche, più sfumate, più imprecise, più fumose. Le donne di Guim sono fumi evanescenti, pastellosi e colorati, leggeri e solitari.

E l’occhio diventa centro del mondo, diventa infinito, è perfezione, ciclicità, centrifuga, ossessione, profondità, vuoto, confine. Sono esseri turbati, incerti, mutanti, una nuova specie, il popolo di Guim Tiò. Cercano di sedurre, Mei, Freda, Sacra, Icar, sono clown di un mondo perduto, con pomelli gialli, dischetti indiscreti di un rossore anomalo, sono pagliacci tristi in un mondo di comicità surgelata. È come se con il suo tratto a pastello, Guim tracciasse il profilo che ognuno a modo proprio ha della sua anima, le particolarità del naso vengono spesso messe in risalto, gli occhi diventano abissi che accolgono il naufragio del perfect fashion system. Guim dona colora alle ombre della moda.

Doma e Martin, uomini che sono anonimi ma incarnanti un eterno stato di sonno, di trans; il subconscio è il pastello, incubi e sogni attraversano gli sguardi, e i soggetti diventano protagonisti di un teatro dell’assurdo. Un esistenzialismo soffice, da ritagliare, leggero, ma carico come una nuvola di pioggia, una goccia, una lacrima potrebbe lavare via dalla facce il dolore della memoria, il trucco pastelloso inscena maschere da commedia. Doma, con baffi, pomelli rossi e occhi composti da cerchietti bianchi e marroni, sembra un equilibrista, un funambolo perso tra lo spazio confuso dei suoi ricordi, in una psicosi trascendentale che si riversa in un equilibrio spezzato.

L’artista spagnolo ha conquistato anche Taipei con la recente mostra The dark side of the moon, ed è proprio il lato più sinistro della lucente luna che Guim regala ai suoi personaggi. E Tian rimane uno dei miei preferiti, se ne sta lì avvolto da un aura biancastra, emergente da un uniforme grigio da fumoso smog, occhi cerulei, un naso piramidale, faraonico, alla Pitagora, e un sorriso enigmatico, affascinante, divertito, ironico, con una punta di sensualità, pur sempre pastellosa, un nuovo Monnalisa Smile. I personaggi di Guim sono solitari, unici, disegnano su uno specchio d’acqua la solitudine dei numeri primi, divisibili soltanto per uno e per sé stessi.
Guim TióGuim TióGuim Tió

giovedì 4 luglio 2013

ALIENS -Tappa Bologna @ Spazio San Giorgio

Ed ecco il testo pubblicato su Frattura Scomposta

(www.fratturascomposta.it)

Enjoy!
:)

RECENSIONE: ALIENS-BOLOGNA



“Ognuno sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole ed è subito sera.”
Ermeticamente poetando, Salvatore Quasimodo aveva racchiuso in poche parole il senso di solitudine estrema che ci appartiene. Che oggi più che mai nell’era dell’ultra comunicazione sembra appartenerci. Non ce ne accorgiamo ma siamo tutti a modo proprio degli outsider.
Chi più degli artisti, può fornirci in maniera pratica e concisa, attraverso le immagini, l’aspetto alienante del contemporaneo?
ALIENS è un progetto artistico curatoriale che propone collettive di artisti contemporanei per lo più italiani, la tappa di Bologna, dall’11 al 25 maggio scorso, alla Galleria Spazio San Giorgio ha visto esporre ben tredici nomi.
Una squadra made in italy che ha prodotto differenti visioni sul tema dell’alienazione.
Grazie alla collaborazione con la galleria ho avuto modo di osservare la mostra più volte, tra queste in maniera silenziosa e solitaria, esercitando lo sguardo sulle opere in molteplici momenti.
Alessio Bolognesi con il suo alter ego total white Sfiggy, con il terrore del romanticismo a buon mercato, vieta la pace al perbenismo assuefante e stucchevole, avendone per tutti, è il proclamatore dell’amata ultraviolenza (per dirla all’Alex di Arancia Meccanica), punta la pistola all’omino anonimo verde di poca speranza di Haring, la cacchina emessa è solo un eco alla Manzoni.
Le foto di Andrea Valsecchi, tra il cyber e il metafisico,  propongono presenze fuori fuoco in un mondo digitalizzato, tutto passa niente resta, le figure evanescenti si concretizzano solo nell’attimo del fotografico. Il tempo non basta, è fermo, ed ecco un cartello indica che Facebook è di là, la condivisione, la social obsession detta la strada, luogo immateriale dove ormai tutti passano il tempo che non resta.
Elegante, sottile, in punta di piedi, il rouge di Angela Viola, inchiostri su cartoncini aventi come protagonista una sconosciuta dalle sembianze femminili, dalle nudità in bianco e nere, la sagoma sembra vivere di profili e fili rossi, gomitoli organici si dispiegano nel bianco, per avvolgere e intrappolare di un rosso vitale, come sangue ipersottile il corpo esanime.
Iperrealismo, da nanetti ipertrofici S(botero) con simboli di denari e sette belli in paesaggi dai cieli lividi e alberi riccioluti, magri e ondulati, per una tela di due metri di lunghezza, l’opera di Domenico Dell’Osso, una scena solitaria, di un piccolo uomo rotondo che ci da le spalle, a metà tra l’industralizzazione e la natura, poi Dio fece carte a lungo, carte a denari, sette bello e la settanta. Come andrà a finire? Forse nessuno lo sa e lo saprà.
War Child, Gabriele Talarico si ispira al negativo fotografico per fornire splendidi acrilici su tela, autentici dipinti, un focus on, un ritratto di bambino, una realtà che il mondo degli adulti non risparmia, nessun bambino dovrebbe accedere a quello scempio che viene chiamato guerra. Il bambino sovrappone il suo sguardo, i suoi contorni, i suoi limiti, le sue sensazione che si tingono di verde, giallo, rosso, si sovrappongono, lasciandoci uno scanner di malinconia e riflessione.
Lasciate a casa Geppetto, ormai ha fatto storia e Giacomo Rossi ne avrebbe anche per lui. Le sculture di Rossi riemergono dalla loro ferite, dalle loro ceneri come delle fenici, presentano le loro mostruosità, le loro manone, il loro dentoni, non vogliono ammiccare ad essere sexy, non hanno un bel portamento e sembrano anche un po’ ingobbiti, ma tranquilli niente notre-dame, qui niente campane da suonare, solo tanta ironia e un’altra vita regalata dall’artista al legno.
Un’altra tela enorme, anche qui quasi due metri di lunghezza, una tecnica particolare, pittura ad encausto su base fotografica, Uscita Forzata: mela alt esc di Gianluca Chiodi, gioca in un mix di contemporaneo e biblico, fornendoci un Adamo ed Eva, straordinariamente targati d’oggi, un Adamo tronista, tatuato, trash, kitsch, tamarro inside, un Eva più finta del finto, una Paris Hilton, forse troppo coperta con la sola foglia. Dio li fa poi li accoppia, Dio forse non era astemio, e quel giorno della creazione al suo controllo sfuggirono un bel po’ di cosette. Ma questa è un’altra faccenda. L’unica cosa è che il Dio del nuovo Millennio ha fatto storia sotto il nome di Steve Jobs, la mela del peccato, è diventata la più desiderata del globo, e non è un caso se i due se la contendono. La tecnologia è il vero accesso al paradiso, oggi.
Il futuro che sarà? Un astronauta, una mucca con l’insegna del Mc,  lo sponsor volante Technocasa, una coca-cola abbandonata in primo piano, un paesaggio disabitato e lunare quello di Marco Minotti; una Globalizzazione bizzarra, surreale e con la vita precaria, che ci lascia ad un cielo rosa.
Un rosa che trova massima esplosione nell’opera di Willow, un super pop divertente e iper colorato con esserini fumettistici sprizzanti per un fucsia iconico e da pop-brain, Pink side of life farebbe impallidire la Pantera Rosa per essere troppo poco pink. Una miscela pop irriverente e frizzante, scoppiettante ed elettrizzante. Un vero sciroppo contro la noia del bianco e nero.
Di un rosa pallido, trasparente, amniotico, è protagonista il lavoro di Vania Eletttra Tam che con delicatezza ci presenta Rodiola Rosea in Re Minore, una sinfonia silenziosa e fluttuante, un viaggio in assenza di gravità delicato e liscio, liquido e perturbante. Femminile e personale.
Una placenta tentacolare avvolge e culla, l’artista protagonista in questa danza privata.
Amletici e spauriti sono invece i paperi di Luigi Leonidi, con gli inglobanti occhi grandi, che sembrino uscire dalla tela, soffrono di qualcosa, hanno in loro dolori e sconfitte silenziosi, sono iconici ma anche anonimi, profondamente misteriosi, sono da scoprire petalo a petalo per ammirarne l’essenza profonda ed esistenzialista. Un bocciolo di segreti.
Con Circus, fotografia digitale, Massimo Festi ci regala un attimo di grande solitudine, un monologo teatrale visivo, una mascherata sottomessa e quasi rassegnata, fingere di stare bene, che in fondo al come stai nessuno vuole veramente sapere la verità. Un personaggio solitario, mascherato piega la testa nel tunnel del silenzio e della solitudine. L’angoscia si traveste, ma questa volta si tratta di un anti-eore, un outsider, uno ai margini della parola.
E per finire le donne dalle pennellate sensuali e pastose di Silvio Porzionato, sono semi nude, aspettano forse qualche minuto d’amore, sono in attesa e ci guardano, aprono le gambe al nostro sguardo fecondo di curiosità. La spazio che contorna i soggetti è a sua volto scomposto in pennellate di luce, le stesse pennellate che sezionano i corpi muliebri, donando loro luminosi spazi di infinito.

Federica Fiumelli