Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

giovedì 12 maggio 2016

Il disegno, il segno, la linea di Riccardo Baruzzi #P420

http://julietartmagazine.com/it/la-linea-di-riccardo-baruzzi/




“É in cielo che tu devi salire, Astolfo, su nei campi pallidi della luna, dove uno sterminato deposito conserva dentro ampolle messe in fila, le storie che gli uomini non vivono, i pensieri che bussano una volta alla soglia della coscienza e svaniscono per sempre, le particelle del possibile scartate nel gioco delle combinazioni, le soluzioni a cui si potrebbe arrivare e non si arriva.” Italo Calvino, “Il castello dei destini incrociati”
Il disegno, il segno, la linea. In questa digressione la ricerca artistica di Riccardo Baruzzi si palesa e si celebra nella volontà costante di mantenere una soluzione a cui si potrebbe arrivare e non si arriva. É attraverso il corpo della pittura che il disegno viene indagato e percorso in queste opere di mancanza. Perché di mancanza si parla nei lavori di Baruzzi. Una mancanza che manifesta la complessità del potente ma sottile velo, limen, che intercorre tra fenomeno e noumeno, tra figurazione e astrazione. La linea infatti, elemento di conoscenza imprescindibile nella cifra stilistica di Baruzzi, come una fedele ma spesso infedele compagna, vuole assomigliare più al pensiero che non alle cose. I soggetti non sono importanti, quello che conta è tracciare un intervallo delicato, audace, sofisticato, essenziale, un segno che è espressione originaria di una caduta nell’incompiuto. Baruzzi ci narra attraverso le proprie opere in maniera anti didascalica, la potenza evocativa dell’artista risiede nella mancanza di descrizione. Baruzzi accenna. Nell’esplorare i limiti che intercorrono tra i supporti e l’opera come in “Ordine” o tra disegno e pittura come in “Quasimezzochilo”, l’artista ci offre delle composizioni visive, brevi, sincopate, musicali, intermittenti, perché un altro elemento imprescindibile nel lavoro di Riccardo Baruzzi è il suono.
La linea si amalgama al suono in un’ascensione che è produzione di segno. La linea calligrafica e sensuale di Baruzzi incide il proprio di-segno in interstizi sonori di visione; l’autonomia semantica del segno in sé per eccellenza come appunto è la linea, bagna, scorre, allinea, compone, spalma, seduce e conduce nell’imprevisto, in qualcosa che può accadere ogni volta differentemente nell’occhio di chi osserva. Baruzzi, artista famelico, affamato e insoddisfatto, sagace funambolo incarna lo spirito dell’uomo che ride di Victor Hugo, “Aveva crisi di smarrimento, la sua mente subiva l’oscillazione tipica dell’imprevisto, che ciclicamente, sembra portarci a capire qualcosa, per poi portarci a non capire più niente. A chi non è capitato di avere nel cervello un bilanciere del genere?” In questa oscillazione dicotomica i disegni di Riccardo Baruzzi operano alla stregua di haiku, brevi componimenti poetici di origine orientale, che nella loro assoluta atemporalitá non ci privano di una concreta  e sensuale corporeità. Nella caduta dei limiti proposta da Baruzzi, la cessazione, la perdita e la sintesi sono elementi costitutivi di una ricerca che si pone come una possibilità di cura dell’immagine. Come ha ribadito Simone Weil “Ciò che limita é senza limite.”
Riccardo Baruzzi, Dal disegno disposto alla pittura. 2 Aprile – 4 Giugno 2016 @ P420 di Bologna
Federica Fiumelli


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