Officina
 15 è un’associazione culturale senza scopo di lucro nata a Castiglione 
dei Pepoli, in provincia di Bologna, e volta alla diffusione della 
cultura e dell’arte senza nessun confine di carattere e di gusto; fino 
al 10 giugno propone la serie di lavori Orizzonti dell’artista 
bolognese Alessandra Maio. Gli obiettivi dell’associazione sono quelli 
di promuovere  e rivalutare il territorio dell’Alto Appennino Bolognese,
 facendo da punto di riferimento e di aggregazione per chi voglia 
sviluppare le proprie idee artistiche e creative, con un interesse 
particolare ai nuovi media e alle forme di espressione contemporanee. 
“Sono affascinata dalle parole, dalle loro sfaccettature, dai 
significati che possono assumere a seconda dei contesti in cui sono 
inserite. Lego parole a immagini semplici esaltando la loro potenza 
attraverso la ripetizione ossessiva: scelgo frasi fatte o famose, 
cantilene, proverbi e le scrivo migliaia di volte componendo le trame 
fitte da cui scaturisce, come un ricamo, il disegno finale. La 
ripetizione non è una pratica sedativa, è un modo per riflettere: quando
 si riscrive una frase questa assume un significato più intenso portando
 a uno stato meditativo”, afferma Alessandra Maio. 
Orizzonti è il titolo della serie di lavori ad acquarello e 
matita su carta dell’artista, in cui utilizza un grigio che man mano da 
campitura di colore, si fa leggera e inconsistente sfumatura, per 
sciogliersi in corpo esile di scrittura. O ancora leggendo il movimento 
contrario: una scrittura che si condensa in fumose porzioni di colore 
etereo, fino a scomparire. A dissolversi. È proprio lo spazio della 
scrittura ad essere posto sotto una lente di ingrandimento temporale, 
l’artista è interessata a una questione nella quale tutti noi 
intimamente ci siamo imbattuti, fin da quando siamo bambini, dove nella 
fase di apprendimento è previsto un particolare tipo di rapporto tra noi
 e la pagina bianca, tra noi e il mondo. 
Alessandra Maio, classe 1982, vive e lavora a Bologna si è diplomata 
all’Accademia di Belle Arti e ha conseguito la laurea magistrale in 
Storia dell’arte contemporanea. Da attenta osservatrice e studiosa ha 
tratto e assorbito i punctum essenziali dalle sperimentazioni legate al 
rapporto tra parola e immagine, grafia e grafismo, dalle prima 
esperienze futuriste e dadaiste, alle ricerche delle neoavanguardie come
 Poesia concreta, Poesia Visiva, Fluxus, Concept Art, e Narrative Art, 
per rielaborare personalmente il luogo della scrittura. Scrittura che è 
movimento, immagine e forma. Scrittura che è orizzonte di conoscenza e 
pratica antica, espressiva e dicotomica. Tra noumeno e fenomeno, la 
scrittura è l’accadere di un tempo che piano piano stiamo perdendo. Ma 
la Maio non perde questo equilibrio e nemmeno questo tempo, lo 
custodisce con finezza ed eleganza, con precarietà e originarietà, il 
gesto recupera una forza pura semplice. La forma calligrafica si sdogana
 da imposizioni di senso, lontana di logiche di senso coercitive, è 
all’orizzonte, infinita nel mistero. “Il mistero non è un muro, ma un 
orizzonte. Il mistero non è una mortificazione dell’intelligenza, ma uno
 spazio immenso, che Dio offre alla nostra sete di verità” (Antonie de 
Saint-Exupery). 
La serie di lavori Orizzonti si avvicina per affinità stilistiche e concettuali ad altri lavori dell’artista come Esercizi di stile: Grigio nebbia: senza confini da superare non so dove andare, Linee parallele, Tentativo di mimesi: mi nascondo tra le ombre dei miei sogni, Sfumatura R: a volte confondersi aiuta a capirsi, Sfumatura A: non devo aver paura del buio, Grigio: non riesco a pensare a niente, Non devo aver paura del buio. 
Tonalità grigie, blu, rosee si alternano con una ripetizione nel 
titolo che fa da cornice al pensiero, NON. NON NON NON. La Maio ci 
suggerisce che ripetere aiuta, sia nell’ossessività della forma, che 
nella negazione della sua significanza, per liberarsi occorre insistere,
 muoversi, correre, scivolare verso un orizzonte di originarietà. Sia 
nello stile esecutivo sia nella scelta dei titoli, nella poetica della 
Maio si può trovare e riscontrare una genuinità propria dell’infanzia, 
una propensione al gioco, puro, semplice, e proprio per questo 
estremamente profondo e complesso. “Possiamo dire: gioco è non-serietà. 
Ma questo giudizio, oltre a non dire nulla delle qualità positive del 
gioco, è estremamente precario. Bambini, calciatori, scacchisti giocano 
con la massima serietà senza la minima tendenza a ridere” (Johan 
Huizinga). 
I sogni, i pensieri, l’incertezza, il dubbio, le paure; fanno parte 
di un’attitudine "calviniana" quella dell’artista, già riscontrata 
peraltro da altri critici, “di planare sulle cose dall’alto” , una 
modalità estetica aerea, con un approccio sincero e curioso sul mondo e 
sull’esperire. “Dedicherò la prima conferenza all’opposizione 
leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol
 dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che 
sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire. Dopo quarant’anni che 
scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti 
diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il
 mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle 
volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle 
figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho 
cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio” 
(dall’incipit di Lezioni Americane di Italo Calvino). 
Dal quaderno, al foglio, alla carta di cotone, la scelta dei supporti
 da parte dell’artista mantiene un’essenzialità basica ed elegante, lo 
spazio bianco si rende disponibile ad accogliere silenzi fatti di 
negazioni, pensieri e ripetizioni. Ed è così anche per la scelta della 
tecnica di colorazione (prevalentemente acquerello) e dei colori.  “Gli 
spazi vuoti, gli orizzonti vuoti, le pianure vuote, tutto quello che è 
spoglio mi ha sempre profondamente impressionato” (Joan Mirò). 
Il lavoro della Maio è un lavoro di riduzione, di spogliazione, dove 
lo spazio e il tempo si incontrano nella vertigine del vuoto, nella 
purezza del colore o nel reiterarsi della forma, o nella semplicità di 
una locuzione. Una concezione estetica che la rende molto vicina a 
ricerche di tipo orientale. Di fatti, basta pensare alla serie Seascapes
 del fotografo giapponese Hiroshi Sugimoto per captare affinità distanti
 ma estremamente vicine, dove l’essenza diviene concetto, negli scatti 
di Sugimoto, l’orizzonte diviene quel limen, quel gap, quella mancanza 
irraggiungibile tra la distesa oceanica dell’acqua e l’inafferrabilità 
del cielo; tutto si perde in una gradazione tonale, soave, amplificata, 
infinita, in un grigio che diviene metafora stessa dell’esistenza. 
Proprio come accade negli Orizzonti della Maio, dal taglio 
implicitamente fotografico, sia nei formati verticali, orizzontali, ma 
nella fattispecie in quelli tondi, dove la perfezione del cerchio 
diviene "occhiello" attraverso il quale spiare, ma anche cornice, buco, 
fuga, foro, fessura attraverso quale l’entropia si compie. 
Gli Orizzonti della Maio, sono luoghi, arcipelaghi o isole, 
paradossalmente letterarie, dove la non-significanza risiede nella 
bellezza del gesto. Un gesto puro sintomo di una ricerca minuziosa, 
quasi ascetica che la avvicina a una grande artista come la tedesca (ma 
italiana d’adozione) Irma Blank, anche per le scelte cromatiche. La 
scrittura in entrambe diviene movimento, respiro e riflessione (in) 
formale. In Orizzonti silenzio e densità si incontrano 
osmoticamente nella trasparenza dell’acquarello e nella trama fitta di 
parole, per evocare sensazioni, per ricordare liquidamente, fluidamente 
che tutto scorre silente, si muta e trasforma, sbiadisce, come lacrime 
su carta di cotone, si dissolve una linea d’ombra. 
Al buio, in punta di 
piedi. 



 















