Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

venerdì 9 giugno 2017

Alessandra Maio. "Orizzonti" presso Officina 15 a Castiglione dei Pepoli







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Officina 15 è un’associazione culturale senza scopo di lucro nata a Castiglione dei Pepoli, in provincia di Bologna, e volta alla diffusione della cultura e dell’arte senza nessun confine di carattere e di gusto; fino al 10 giugno propone la serie di lavori Orizzonti dell’artista bolognese Alessandra Maio. Gli obiettivi dell’associazione sono quelli di promuovere e rivalutare il territorio dell’Alto Appennino Bolognese, facendo da punto di riferimento e di aggregazione per chi voglia sviluppare le proprie idee artistiche e creative, con un interesse particolare ai nuovi media e alle forme di espressione contemporanee. 

“Sono affascinata dalle parole, dalle loro sfaccettature, dai significati che possono assumere a seconda dei contesti in cui sono inserite. Lego parole a immagini semplici esaltando la loro potenza attraverso la ripetizione ossessiva: scelgo frasi fatte o famose, cantilene, proverbi e le scrivo migliaia di volte componendo le trame fitte da cui scaturisce, come un ricamo, il disegno finale. La ripetizione non è una pratica sedativa, è un modo per riflettere: quando si riscrive una frase questa assume un significato più intenso portando a uno stato meditativo”, afferma Alessandra Maio. 

Orizzonti è il titolo della serie di lavori ad acquarello e matita su carta dell’artista, in cui utilizza un grigio che man mano da campitura di colore, si fa leggera e inconsistente sfumatura, per sciogliersi in corpo esile di scrittura. O ancora leggendo il movimento contrario: una scrittura che si condensa in fumose porzioni di colore etereo, fino a scomparire. A dissolversi. È proprio lo spazio della scrittura ad essere posto sotto una lente di ingrandimento temporale, l’artista è interessata a una questione nella quale tutti noi intimamente ci siamo imbattuti, fin da quando siamo bambini, dove nella fase di apprendimento è previsto un particolare tipo di rapporto tra noi e la pagina bianca, tra noi e il mondo. 

Alessandra Maio, classe 1982, vive e lavora a Bologna si è diplomata all’Accademia di Belle Arti e ha conseguito la laurea magistrale in Storia dell’arte contemporanea. Da attenta osservatrice e studiosa ha tratto e assorbito i punctum essenziali dalle sperimentazioni legate al rapporto tra parola e immagine, grafia e grafismo, dalle prima esperienze futuriste e dadaiste, alle ricerche delle neoavanguardie come Poesia concreta, Poesia Visiva, Fluxus, Concept Art, e Narrative Art, per rielaborare personalmente il luogo della scrittura. Scrittura che è movimento, immagine e forma. Scrittura che è orizzonte di conoscenza e pratica antica, espressiva e dicotomica. Tra noumeno e fenomeno, la scrittura è l’accadere di un tempo che piano piano stiamo perdendo. Ma la Maio non perde questo equilibrio e nemmeno questo tempo, lo custodisce con finezza ed eleganza, con precarietà e originarietà, il gesto recupera una forza pura semplice. La forma calligrafica si sdogana da imposizioni di senso, lontana di logiche di senso coercitive, è all’orizzonte, infinita nel mistero. “Il mistero non è un muro, ma un orizzonte. Il mistero non è una mortificazione dell’intelligenza, ma uno spazio immenso, che Dio offre alla nostra sete di verità” (Antonie de Saint-Exupery). 

La serie di lavori Orizzonti si avvicina per affinità stilistiche e concettuali ad altri lavori dell’artista come Esercizi di stile: Grigio nebbia: senza confini da superare non so dove andare, Linee parallele, Tentativo di mimesi: mi nascondo tra le ombre dei miei sogni, Sfumatura R: a volte confondersi aiuta a capirsi, Sfumatura A: non devo aver paura del buio, Grigio: non riesco a pensare a niente, Non devo aver paura del buio

Tonalità grigie, blu, rosee si alternano con una ripetizione nel titolo che fa da cornice al pensiero, NON. NON NON NON. La Maio ci suggerisce che ripetere aiuta, sia nell’ossessività della forma, che nella negazione della sua significanza, per liberarsi occorre insistere, muoversi, correre, scivolare verso un orizzonte di originarietà. Sia nello stile esecutivo sia nella scelta dei titoli, nella poetica della Maio si può trovare e riscontrare una genuinità propria dell’infanzia, una propensione al gioco, puro, semplice, e proprio per questo estremamente profondo e complesso. “Possiamo dire: gioco è non-serietà. Ma questo giudizio, oltre a non dire nulla delle qualità positive del gioco, è estremamente precario. Bambini, calciatori, scacchisti giocano con la massima serietà senza la minima tendenza a ridere” (Johan Huizinga). 

I sogni, i pensieri, l’incertezza, il dubbio, le paure; fanno parte di un’attitudine "calviniana" quella dell’artista, già riscontrata peraltro da altri critici, “di planare sulle cose dall’alto” , una modalità estetica aerea, con un approccio sincero e curioso sul mondo e sull’esperire. “Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d’aver più cose da dire. Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio” (dall’incipit di Lezioni Americane di Italo Calvino). 

Dal quaderno, al foglio, alla carta di cotone, la scelta dei supporti da parte dell’artista mantiene un’essenzialità basica ed elegante, lo spazio bianco si rende disponibile ad accogliere silenzi fatti di negazioni, pensieri e ripetizioni. Ed è così anche per la scelta della tecnica di colorazione (prevalentemente acquerello) e dei colori. “Gli spazi vuoti, gli orizzonti vuoti, le pianure vuote, tutto quello che è spoglio mi ha sempre profondamente impressionato” (Joan Mirò). 

Il lavoro della Maio è un lavoro di riduzione, di spogliazione, dove lo spazio e il tempo si incontrano nella vertigine del vuoto, nella purezza del colore o nel reiterarsi della forma, o nella semplicità di una locuzione. Una concezione estetica che la rende molto vicina a ricerche di tipo orientale. Di fatti, basta pensare alla serie Seascapes del fotografo giapponese Hiroshi Sugimoto per captare affinità distanti ma estremamente vicine, dove l’essenza diviene concetto, negli scatti di Sugimoto, l’orizzonte diviene quel limen, quel gap, quella mancanza irraggiungibile tra la distesa oceanica dell’acqua e l’inafferrabilità del cielo; tutto si perde in una gradazione tonale, soave, amplificata, infinita, in un grigio che diviene metafora stessa dell’esistenza. Proprio come accade negli Orizzonti della Maio, dal taglio implicitamente fotografico, sia nei formati verticali, orizzontali, ma nella fattispecie in quelli tondi, dove la perfezione del cerchio diviene "occhiello" attraverso il quale spiare, ma anche cornice, buco, fuga, foro, fessura attraverso quale l’entropia si compie. 

Gli Orizzonti della Maio, sono luoghi, arcipelaghi o isole, paradossalmente letterarie, dove la non-significanza risiede nella bellezza del gesto. Un gesto puro sintomo di una ricerca minuziosa, quasi ascetica che la avvicina a una grande artista come la tedesca (ma italiana d’adozione) Irma Blank, anche per le scelte cromatiche. La scrittura in entrambe diviene movimento, respiro e riflessione (in) formale. In Orizzonti silenzio e densità si incontrano osmoticamente nella trasparenza dell’acquarello e nella trama fitta di parole, per evocare sensazioni, per ricordare liquidamente, fluidamente che tutto scorre silente, si muta e trasforma, sbiadisce, come lacrime su carta di cotone, si dissolve una linea d’ombra. 

Al buio, in punta di piedi. 














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