Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

giovedì 14 luglio 2016

This must be the place #01 - asse Bologna - Londra




"Never for money, always for love" è così che mi infrango portico dopo portico tra le forme di un tortellino, magari progettato da Depero, e un bicchiere di vino.
Secco va giù meglio, ma non come l'angoscia di chi manca sempre il consiglio giusto.
Giusto? Ma poi cosa? Non lo puoi sapere quando decidi di restare. Non ora, ma qui.
Il mio viaggio non è lontano, è più fedele come un pendolo che frenetico come un minipimer, e radicato come un frutto, ordinario, binario su binario con la maleducazione di chi non sa tacere e il sopismo degli annoiati.
Tutto scorre al bit di un semaforo. E staccho i giorni dal calendario come i post it promessi e dimenticati nella polvere.
Ma a questa città piena di contraddizioni voglio bene, sì perché qui talvolta accadono gesti autentici d'amore. Il romanticismo è sempre disobbediente, l'ho letto di sfuggita da qualche parte e l'ho fatta subito mio, un pensiero maledettamente e squisitamente erotico. Ma digressioni a parte, stavo appunto dicendo che questa città è capace di risolutori atti artistici, veri e propri atti politici.
E ultimamente è stata teatro di un autentico gesto tragico, catartico in grado di far riflettere e far scatenare discussioni, gesti che non si vedevano da tempo.
Quel che piace a me...e quello che porto con me è l'immagine iconoclasta di un artista che in seguito ad una dubbia operazione di marketting (enfasi sulla doppia t) anziché culturale (come quest'ultima invece dichiarava negli intenti) ha cancellato per sempre le proprie opere dal volto di questa città.
Ai più suonerà non certa nuova questa storia, che non deve cessare di essere raccontata come succede troppo spesso nella memoria effimera e di facile dimenticanza, propria delle luci della ribalta tipiche dei social network. E che dire della collaborazione di ragazzi dei centri sociali (e non solo), fianco a fianco a cancellare e rimuovere nel Blu dipinto di grigio? Uniti per un ideale. Questa sì che è una bella immagine del termine "insieme".
"E qualcosa rimane tra le pagine chiare" e tra le strade, un grido molto più forte di tutti gli stilemi convenzionali dell'avido capitalismo. Quanti commenti piovuti in questo grigio, molteplici scagliati senza cognizione di causa, tipica della 'legione di imbecilli' professata da Umberto Eco in merito alla democratica presa di parola concessa dai social; poche le riflessioni precise, puntuali, colme di coscienza critica. Ho la fortuna di essermi formata con persone oneste e competenti e a loro come a questi gesti di romanticismo disobbediente va il mio plauso e la mia stima. La bellezza di un gesto responsabile che porta a farti sentire parte di una comunità, di una collettività.
Ritorna intrepido "Never for money, always for love" esattamente da dove eravamo partiti, siamo tornati per perderci tra i contrasti, come succede alla crème de cassis con il vino bianco. Sai certe notti capita di infrangersi nei suoni che Jeff Mills porta direttamente da Detroit e tu in quel momento sei talmente incosciente, scalza tra i vetri di un amore negato, che ti scoppia il cuore a vedere l'alba sulle tag del Link, la meraviglia amica mia, a qualche meridiano di distanza è anche questa: colmare l'assenza con atti di allucinata consapevolezza come se la mancanza fosse un bicchiere troppo piccolo e lussuoso per contenere la tua sete.
Ho deciso di restare perché anteposte all'orizzonte, le cose sono sfuocate come nelle foto di Brigitte March Niedermair, nate dalla riflessione sulla poetica Morandiana, cerco di mettermi a fuoco, oltre un limite, perché questo forse 'this must be the place'. E so che tu nel silenzio, di fronte a quelle immagini mi avresti capita. Ci si capisce sempre tra le fila immaginarie di un museo.
Le città sono come le scrivanie e come le scelte, sono universi di tediosa ma necessaria ambiguità...che poi io non fumo nemmeno, ma accanto a vecchie polaroid vergini tengo come un reliquiario un pacchetto consunto di marlboro rosse, per fissare il vizio, per sempre. A proposito delle scrivanie, vedi? Siamo pieni di contraddizioni o controindicazioni. Ma è meraviglioso sentirsi irrisolti. E mentre corro frettolosamente a prendere l'ultimo treno, senza disattenzione come senza mascara, arrivo sotto le due signore della città, così alte e imperfette che bucano il cielo, qualcuno passa con il finestrino della macchina abbassato e Patti Smith canta "My generation".

Federica Fiumelli - Bologna


Scegliere di partire non è mai semplice, è difficile scendere al compromesso di lasciare le proprie geografie emotive antropomorfe fatte di luoghi e di persone, per andare a ricrearsi un'esistenza ex novo a migliaia di chilometri più in là.
Scegliere di inseguire un sogno definito sebbene al contempo nebuloso è un atto di coraggio quasi quanto quello di restare. Quando il tempo scorreva veloce e l'ansia del futuro si stringeva a me ho dovuto scegliere se attuare la mia rivoluzione in un'Italia bella ma pietrificata o se scappare via, e andare nella fluida capitale anglosassone. Difficile scegliere, ma non poi così tanto. Era un pomeriggio caldo di inizio autunno ed io ultimavo le conclusioni della mia indagine sulla meraviglia, per mesi mi ero accademicamente interrogata sull'importanza di questa nella filosofia e nelle arti. Quante estenuanti giornate avevo passato ad inseguire per tradizione indiretta il significato ultimo dello stupore. Con l'ultimo sole del pomeriggio la mia meraviglia è arrivata come un'epifania attraverso un passo di Tondelli, quello famoso dell'odore. In un attimo ho capito il da farsi e così, come quando nel 2010 l'odore mi portò in via Paolo Fabbri tra le foglie cadute e destinate a perire ed il profumo dei tortellini di Vito, stavolta questo mi portava inequivocabilmente a Londra. Sono quindi partita, pronta a fare la mia rivoluzione qua.

Overwhelmed dalla possibilità multistimolante che offre la città a volte mi dimentico di stare col naso all'insù, dimentico di essere ricettiva al senso olfattivo e mi perdo nella miriade di altri stimoli sensitivi. In un certo senso mi immergo nella città carica di quel senso di opera d'arte totale professato da Wagner.
Nella metropoli che corre senza sosta mi trovo a sperimentare un rinnovato senso di lentezza dettato dalla consapevolezza di essere finalmente, almeno per un po', al posto giusto nel momento giusto. C'è freddezza nelle persone che ogni mattina, assorte nella loro vita frenetica, attraversano con me la città sotto terra. Sguardi timidi difficilmente seguono un approccio conoscitivo, ognuno teme semplicemente non avere il tempo per conoscere l'alter. Va bene così, questo mi dà il modo di esplorare la piccola fauna sotterranea con cui convivo a stretto contatto per almeno un'ora e mezza tutti i giorni.
"Do you have love for human kind?" cantano le CocoRosie in questa mattinata grigia, le loro voci mi ricordano una serata risalente a due vite fa quando, nel pieno di una frizzante adolescenza, finii ad un loro concerto, non le apprezzai, non quanto ho imparato a fare poi, all'alba dei 25 anni. Ecco, il mio amore per il genere umano l'ho riscoperto qua, nella varietà di una metropoli multiculturale. Il confronto con nuove culture è brevemente diventato il centro della mia ricerca personale.
Parimenti, il panorama artistico che la città ha da offrire è talmente vasto che è difficile non essere travolti dalla ampia scelta. Mi rinnovo ogni giorno, perdendomi in disparate produzioni artistiche, lasciando a casa i pregiudizi e immergendomi con una gioia al sapore di epochè all'interno di tele, installazioni, sculture e performances.
Dopo anni di rifiuto quasi iconoclasta nei confronti di ciò che non era assolutamente contemporaneo ritrovo ad apprezzare ed a ricercare con un fare quasi lussurioso ed avido ciò che mai pensavo avrei apprezzato e mi colgo stupefatta nel ricercare nelle forme antiche i tratti di un concettuale ante litteram che mi travolga e che mi coinvolga in un sentimento di appagamento sinestetico.
Sempre più mi trovo attratta dalla dimensione cromatica dell'arte. A volte, perdondomi davanti ai Rotkho esposti in una sala buia della Tate, provo il desiderio di accendere la luce per potermi acciecare con il colore pigmentato.
A sedere su una delle panche in penombra, chiudo gli occhi e sento, sotto ai piedi, il pavimento in cemento dell'ex seccatoio dimora dei monocromi di Burri. Con il senso tattile della mente, seduta davanti alle opere di Mark, percorro le superfici nere di Alberto, sfiorando con un polpastrello impalpabile ora l'opaco, ora il lucido colore denso e piatto. Il mio viaggio continua e vago con la mente, sono dentro alle dimensioni spaziali e cromatiche di Spalletti e mi interrogo sulla valenza sociale e artistica del medium pittorico.
Il mio odore mi ha condotta a Londra perché è da qua, dal suo sentimento metropolitano permeante, che posso intraprendere una ricerca conoscitiva che mi coinvolga a pieni sensi.
Così, immergendomi nei luoghi che hanno visto nascere la YBA e che, più o meno metaforicamente, sono tappa obbligata per tutta l'arte, sento il bisogno di dover tornare ad interrogarmi sulle roots dell'arte e, nella fattispecie, sulla valenza della pittura stessa. Davanti al letto di Tracy Emin, finalmente in esposizione alla Tate Britain, mi chiedo se la mia rivoluzione non debba ripartire proprio dall'atto pittorico.
Rewind. Riparto da qua, dal colore puro.

Claudia Zanardi - Londra


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