Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

mercoledì 28 agosto 2013

Il Costume Illuminotecnico

A gennaio "Frattura Scomposta" (www.fratturascomposta.it) ha pubblicato una tesina che ebbi modo di scrivere l'ultimo anno di Università in occasione di un interessante e stimolante seminario di teatro.
Rimasi da subito affascinata sull'uso performativo della luce in ambito di costumi.
Da qui la ricerca sul costume illuminotecnico.




Enjoy!

:)

             I.      INTRODUZIONE

Voi ci credete pazzi. Noi siamo invece i Primitivi di una nuova sensibilità completamente trasformata. Fuori dall'atmosfera in cui viviamo noi, non sono che tenebre. Noi Futuristi ascendiamo verso le vette più eccelse e più radiose, e ci proclamiamo Signori della Luce, poiché beviamo alle vive fonti del Sole. “[1]

Così si presentavano i Futuristi italiani nel primo decennio del XX secolo. Anni che sembrano distanti dal nostro tempo ma che in realtà sono contemporanei a noi più che mai.
La luce dev’essere stata per l’uomo fonte di ispirazione da sempre, vista come qualcosa di ineffabile etereo magico e celestiale, strettamente legata al Sole, fonte di vita umana.
La luce sarà proprio la nostra protagonista.
I Futuristi con la loro arte celebrarono la sinestesia, la totalità dei sensi, l’arte doveva compenetrare, essere un tutt’uno con la vita stessa.
Si doveva incominciare a giocare con il famoso “ciclo freddo” Mcluhaniamente parlando, impiegando un diverso tipo di tecnologia, quella di origine elettrica.
In misura omologa al pensiero di McLuhan, Marcuse con lo scritto Eros e Civiltà, negli intrepidi anni Sessanta riconosce e afferma che il sesso e l’eros, la libido in generale, è per natura morbida, informe, avvolgente, quindi rappresentata in maniera analoga dai flussi di energia che animano i media elettrici.[2]
I dispositivi elettrici diventano così la rappresentazione plastico-visivo della libido.
Se ci interessiamo all’uso del corpo nel contemporaneo, non possiamo non esimerci dal pensare ad un interessante applicazione come il costume, ancora meglio se quest’ultimo è accompagnato da tecnologie che permettono concreti effetti di luce.
Per questi motivi la presente ricerca si estende dai bozzetti futuristi di quel gran anticipatore che fu Depero per arrivare ai giorni nostri, dove il costume illuminato sembra prendere sempre più campo.
Se l’arte contemporanea è stata maestra nell’ibridazione dei mezzi artistici, e già Wagner ambiva all’opera d’arte totale, allora il costume illuminotecnico può a buon diritto essere considerato come una perfetta sintesi di tutto ciò.
Il costume illuminotecnico prevede l’uso del corpo, introduce alla performance e lega a sé campi quali l’arte, la moda, la tecnologia, il design, l’industria e l’ingegneria.
L’arte e l’ingegneria, due anime che apparentemente sembrano non comprendersi, trovano in questo caso uno speciale connubio dove la scienza aiuta l’arte a compiersi esteticamente. L’arte sfruttando le nuove tecnologie può creare prodotti artistici rilevanti per il nostro contemporaneo.
La luce, quindi, diventa l’esatta trasposizione plastico-visivo della libido.
E’ quindi impossibile discernere il bisogno del principio di piacere freudiano[3] dal gioco dell’arte contemporanea.
L’arte gioca con la libido informe trovando il suo corrispettivo nell’uso di neon, luci, led, proiezioni video e tutto ciò che l’immaterialità della tecnologia permette.
E’ giunto però il momento di tracciare una parabola del nostro oggetto contemporaneo, il vestito luminoso, che ci veste di luce e di libido.

          II.      IL COSTUME ILLUMINOTECNICO NEL CONTEMPORANEO

Il costume elettrico, dopo i bozzetti futuristi di Depero, ha dirottato persino in Oriente, in Giappone, con il gruppo Gutai, Atsuko Tanaka nel 1959 esponeva il suo primo Vestito Elettrico. [4]
1984, Jana Sterback, con La Robe espose un vestito in rete metallica e resistenze elettriche che attivate da un sensore si infuocavano all’avvicinarsi dello spettatore. Imponendo il principio di interazione. Interazione che sarà uno dei maggiori e più importanti tratti dell’arte contemporanea, decisa alla creazione dello spett-attore.
Sempre di più la luce sta entrando nella sfera quotidiana, non si limita più a performance o eventi artistici, all’extraquotidiano.
Ad esempio Lumigram e Luminex oggi producono tessuti in fibre ottiche. Oggi la produzione di abbigliamento illuminato sta invadendo anche l’area del solo uso personale, non occorre essere una star o fare uno qualsiasi spettacolo per poter brillare di luce artificiale.
Lumigram è un progetto di Jaqueline, uno stilista francese.
Dopo diversi anni come capo designer di moda, Jaqueline ha fondato Lumigram per la creazione di collezioni che sono miscela di design, artigianato e tecnologie avanzate, basandosi quindi sull’utilizzo delle ultime tecnologie luminose per creare articoli di moda, abbigliamento, arredamento e lusso. I medesimi articoli sono disponibili per la vendita sul sito dell’azienda.[5]
Appena arrivati sul sito, parole chiave come High Tech Fashion and Decoration e Light for style ci indicano già in buona parte l’orientamento della casa produttrice.
Luminex come Lumigram è il risultato di anni di ricerca per mettere a punto allestimenti teatrali, abbigliamento e arredamento.
Volete effettuare ordini personalizzati?
Enlighted Designs, illuminated clothing by Janet Cooke Hansen fa per voi.
Nel sito di quest’azienda avrete la possibilità di richiedere un abito illuminato personalizzato, un marketing quindi fatto a misura sul cliente.
Sul sito è anche egregiamente illustrato il metodo di design, che tipi di abbigliamento scegliere, come lavarli, in che modo vengono distribuiti led e batterie, prezzi e orari di consegna.[6]
La tecnologia più usata per la creazioni dell’abbigliamento Enlighted è sicuramente quella led. I LED sono una forma di semiconduttura che emettono luce quando una bassa tensione viene applicatali, sono un’ottima scelta per l’abbigliamento perché sono piccoli, relativamente durevoli, emettono sufficiente luce senza emanare eccessivo calore a differenza delle lampadine a incandescenza vecchio stile. Esistono vari tipi di led, vari colori a seconda della richiesta.
Sull’interno del tessuto il LED sarà saldato ad una rete di fili sottili di collegamento flessibili facenti parte di un gruppo di batterie e interruttori di alimentazione.
Sono disponibili anche EL wire  e pannelli elettroluminescenti.
L’EL wire è più simile al neon fornendo l’aspetto di una linea uniforme incadenscente, è costituito da un nucleo centrale di rame rivestito con un fosforo, sigillato in una guaina di plastica.
L’Enlighted è capace di installare queste tecnologie su ogni tipo di abbigliamento, da tute, giacche, pantaloni, giubbotti, t-shirts, cappelli, guanti, reggiseni, bikini, abiti, gonne, cravatte e così via.



Janet Cook Hansen è presidente e ingegnere dell’Enlighted, ha saputo coniugare moda, arte e tecnologia. Iniziò a cucire dall’età di sette anni e piano piano iniziò a incorporare l’elettronica con esiti interessanti. Con quasi quindici anni di esperienza, si può ben definire uno dei designer di abbigliamento illuminato più prolifico al mondo.
la Hansen
Non a caso il logo dell’Enlighted rappresenta il simbolo orientale delle due energie vitali e dicotomiche per eccellenza, lo yin e lo yang.[7]
Mary Huang designer californiana, lavora per il progetto Rhyme & Reason e crea abiti in tecnologia LED, prevalentemente bianchi, per un total white leggero e luminoso.




Ricordano vagamente le installazioni in polistirolo e neon dell’artista giapponese Yoshiaki Kaihatsu.[8]

Vestiti così che sembrano smaterializzati, l’esplorazione della luce come materiale per una moda “trasformativa”, abiti che sono stati recentemente utilizzati  per una performance di danza a New York.[9]
“Benedetta sia l’elettroluminescenza” così esordisce una giornalista scrivendo un pezzo su un’altra designer. Vega Wang lasciando Central Saint Martins College of Art and Design di Londra ha sfoderato una collezione-tesi inglobando l’haute couture e technofashion.
Si tratta per cui di vera e propria Technocouture.


Into the deep è il nome della creazione, un vestito che vanta un sofisticato sistema LED che illuminandosi ci dona l’immagine di un cavalluccio marino o un iguana ripiegata su se stessa. Immagini fluide che ci rimandano al concetto di softness e di informe del nostro caro Marcuse.
Interessante il soggetto dell'ispirazione della collezione, in un'intervista rilasciata a Project Creators, Vega Wang racconta che dopo aver visto un dvd della BBC Deep Blue, rimase colpita dal dato che soltanto dal 2002 la tecnologia ha permesso di esplorale 4000-5000 metri le profondità del mare, dove non c'è assolutamente luce solare ed esistono creature che creano luce propria dal fondo del proprio corpo verso l'alto. Dopo questa visione quasi mistica e suggestiva, la Wang ha voluto ricreare tutto ciò nella propria collezione. Figlia di due genitori ingegneri elettronici ha preso spunto dal suo collega Hussein Chalayan che nel 2007 ha creato abiti luminosi. La Wang però non ha usato i LED, bensì gli EL[10], cavetti elettroluminescenti molto sottili, utilizzati anche nei cruscotti delle automobili.
Proprio il già menzionato Chalayan dopo aver vinto per ben due volte il prestigioso titolo di “Designer dell’anno”, talento poliedrico, regista, musicista, stilista d’avanguardia, ha proposto abiti che si muovono in maniera autonoma simulando il vento, cappelli luminosi a forma di ufo, e vestiti luminosi che usano tecnologie innovative.[11]
Un design che si esprime quindi tra arte e tecnologia, tra corpo e macchina.
Nel 2009 Renato Geraci per la maison G.H. Mumm, ha realizzato abiti luminescenti in fibra ottica per una Wearable Technology. Abiti dall’effetto tecno-retrò, mescolano tecnologia e tagli vintage.[12]
Negli ultimi anni Carolina Ciuccia, artista italiana, ha pensato ad un istallazione comprendente dei panni luminosi, stesi.



Una sorta di ready-made del bucato steso, panni fluttuanti e giocosi, morbidi, simbolo di un gesto quotidiano, un gesto con il quale l’uomo moderno interagisce con l’ambiente favorendo della sua energia, come quella solare.[13]
Di grande impatto visivo da sembrare graffiti a neon in movimento, la compagnia di ragazzi Giapponesi Wrecking Crew Orchestra, danzano a ritmo di musica elettronica, unendo il binomio ritmo e luce proposto nel secolo scorso da Loie Fuller. [14]



Danza, performance, tecnologia, luce e musica si trovano nuovamente fuse.
Nella contemporaneità tutto ritorna in forma di ripetizione differente, concetto tanto caro nel pensiero dell’arte contemporanea di Barilli.[15]
Altro grande pioniere della tecnologia indossabile è sicuramente la società di moda CUTECIRCUIT con sede a Londra; fondata nel 2004 è stata la prima azienda a mettere i LED sul red carpet con abiti couture , e la prima a vendere “moda illuminata” in negozi come Selfridges.
I capi sono disegnati dai designer Francesca Rosella  e Ryan Genz, L’italiana Rosella ha lavorato in Italia per Valentino, Genz è invece artista, antropologo e Interection Designer.
CuteCircuit utilizza materiali tecnologicamente avanzati, processi di produzione etica e pulita.
La tecnologia utilizzata nelle vesti è del 100% RoHS compliant, questo significa che non sono presenti sostanze pericolose nei prodotti e che sono esenti da piombo e mercurio puri, e sono sicuri di indossare. I tessuti utilizzati sono certificati Oeko Tex, testati, quindi per la sicurezza e prodotti senza sostanze nocive. 
Recentemente hanno realizzato per la cantante italiana Laura Pausini una gonna in LED lunga 4,5 metri, quattro giacche per il tour della leggendaria rock band U2 e uno splendido costume bianco adornato di migliaia di LED e Swarovski per Kate Perry.




Per quest’ultima hanno creato un altro meraviglio abito da sera per il galà del Met nel 2010, con 3000 led luminosi, very chic.
Una delle creazioni più famose rimane il Galaxy Dress, costituito da 24.000 led ultrapiatti, circuiti extra sottili, ricamati a mano su uno strato di seta. Progettato per funzionare con un numero di batterie da iPod in modo che l’effetto luminescenza possa durare almeno trenta minuti per chi lo indossa.[16]
L’abito luminoso sembra proprio essere spopolato tra le pop star, Kate Perry, i Black Eyed Peas, poteva mancare Rhianna?



Moritz Waldemeyer nel 2010 ha creato per la cantante un vestito di led rossi.
Proprio Waldemeyer ha creato abiti luminosi e sovente utilizza tecnologia led nelle sue installazioni.
Anche lui ingegnere e designer è attratto dalla tecnologia e della sua applicazione al campo della moda. Ha lavorato per la Philips, collaborato con Swarovski e Chalayan.[17]
Interessante è scoprire poi che la techno fashion può risultare anche ecologica.
Come? Un vestito LED per scoprire quanto è inquinata l’aria.
Climate Dress può rilevare quantità di CO2 nell’aria. L’abito è stato ideato dall’azienda danese Diffus, grazie a centinaia di LED può a colei che lo indossa e chi le sta intorno, segnalare quando l’aria raggiunge livelli di inquinamento critici, il tutto illuminandosi.[18]
Per i cinema addicted esiste un vestito LED molto speciale.



Il Little Slide Dress di Emily Steel, costruito con pellicole film e sistema LED.
Secondo la designer:

Il vestito trae ispirazione da film classici e dalla 'magia del cinema' per creare un pezzo da indossare di tecnologia e arte ... la luce è così importante per la creazione e la visualizzazione delle immagini [nel film] e questo era una delle forze trainanti del vestito della creazione. Con la pellicola [noi] possiamo vedere ciò che accade una volta che le luci si spengono. Per far funzionare tutto questo ci deve essere un equilibrio di luce proiettata e ambiente, qualcosa che il Little Slide Dress tenta di emulare.

Un video su Vimeo ci mostra come anche l’oriente luccichi di led, si tratta di un kimono led.
Durante la sua performance al New York Electronic Arts Festival la figlia di Miya Masaoka, Mariko Masaoka Drew ha esibito il kimono led in grado di rispondere alle condizioni musicali, fisiche, visive.
Miya Masaoka - musicista, compositore, sound artist - ha creato opere per koto e l'elettronica, Laser Koto, registrazioni sul campo, laptop, video e partiture scritte per ensemble da camera, orchestre e cori misti. Nelle sue opere ha indagato il suono e il movimento di insetti, così come la risposta fisiologica delle piante, il cervello umano e il suo corpo.
All'interno di questi contesti diversi il suo lavoro indaga le prestazioni interattive, aspetti collaborativi del suono, l'improvvisazione, la natura e la società.[19]
Ritorna in auge nuovamente il concetto di ritmo e luce di Loie Fuller.
Atsuko Tanaka sarebbe contenta.
Dal taglio decisamente futuristico l’abito PolyPhotonix con OLED di Gareth Pugh del 2009.
Con pannelli OLED e celle solari l’abito è stato pensato per occasioni natalizie, una neve luccicante, dal taglio spigoloso, sfila così in passerella, dall’immagine più che suggestiva.[20]



Merita attenzione anche il Life Dress di Elizabeth Fuller, che ha utilizzato “dragon skin” , piastrelle led illuminanti a seconda che si tratti di “vivi” o di “morti”.


Tutti questi esprimenti tecnologici ci dimostrano come anche sul sito della Fuller è scritto che:

Abbiamo un bisogno di interazione anche solo per sopravvivere.

Interazione che è la vera luce dell’arte e dell’era contemporanea.


       III.      CONCLUSIONE

Arte e scienza tecnologica sembrano così due gemelle dalle anime diverse che però in maniera complementare proprio come lo yin e lo yang rappresentano l’aspetto della contemporaneità.
E’ importante sottolineare anche quanto l’artista sia anticipatore con la propria sensibilità di qualcosa che troverà maggiore spiegazione nel futuro, come nel caso della danzatrice Loie Fuller, che già nel secolo scorso aveva intuito sperimentando nelle proprie performance il binomio ritmo e luce.
Ritmo che sembra rappresentare l’antico flusso vitale umano, il ritmo che scandisce il nostro tempo e spazio, un concetto nato con l’uomo; la luce, trasposizione plastico-visivo della libido ripresa negli anni sessanta da Marcuse.
Interessante quindi è capire che l’uomo ha avuto, nel corso degli anni, il bisogno di rappresentare ciò, attraverso l’arte e inequivocabilmente attraverso la tecnologia.
Ritmo e luce che si fondono quindi in un’idea di ritmo vitale, l’opposto della morte, ed ancora ci ritroviamo di fronte a un pensiero dicotomico, proprio dell’era contemporanea, perché non ci potrebbe essere interazione senza confronto tra le diversità.


Si ringrazia Charlotte Ossicini per il contributo.



[1] Tratto dal “Manifesto Tecnico dei pittori futuristi”, 1910, Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini; cfr. www.futurismo1.com
[2] Herbert Marcuse - Eros e civiltà - Einaudi 1964 (ma uscito negli Stati Uniti nel 1955)
[3] Quando Freud illustra il principio di piacere, in genere, lo contrappone al principio di realtà, considerandoli due poli opposti e fondamentali nella regolazione dei nostri atti. Cfr. Al di là del principio di piacere, Sigmund Freud, 1919
[4] Fabriano Fabbri, Sesso Arte Rock’n’roll, Atlante, Italia, 2006 Cfr. p. 120
[5] Cfr.  www.lumigram.com
[6] Cfr. www.enlighted.com
[7] Simboleggiano l’unione di forze contrapposte in un insieme equilibrato. Combinano varietà di opposti: divertimento e funzione, arte e tecnologia, moda e ingegneria. Sostituendo i punti tradizionali con rettangoli indicativi di una presa elettrica negli Stati Uniti, l’azienda ha reso il tutto più simile ad una e, per enlighted . Cfr. www.enlighted.com
[8]Fabriano Fabbri, Lo zen e il Manga. L’arte contemporanea giapponese, Bruno Mondadori, Milano, 2009 Cfr. p. 159
[9] Cfr. www.rhymeandreasoncreative.com
[10]  Cfr. http://thecreatorsproject.com/en-uk/creators/vega-wang/media/285
[11] Cfr. http://www.thecreatorsproject.com/videos/moritz-waldemeyer/media/hussein-chalayan-explains-the-making-of-the-crystal-laser-ss-dresses
[12] Cfr. http://www.pambianconews.com/g-h-mumm-si-ricama-sugli-abiti-luminescenti-di-renato-geraci/

[13] http://carolinaciuccio.wordpress.com/tag/abiti-luminosi/

[14] La ballerina americana Loïe Fuller (1862 - 1928) è diventata famosa in Europa e negli Stati Uniti per il suo lavoro che ha aperto la strada alla creazione di nuove forme di danza. Nelle sue performance, si è trasformata in fiori, uccelli, fiamme, farfalle e falene, proiettando turbinii colorati di luce su fluenti costumi di seta sovradimensionati, spostati da bastoni nascosti. 
[15] Renato Barilli, Scienza della cultura e fenomenologia degli stili, Bononia University Press (collana Icone), 2007
[16] Cfr. http://www.cutecircuit.com/category/collections/

[17] Cfr. http://www.thecreatorsproject.com/creators/moritz-waldemeyer/media/led-dress

[18] Cfr. http://www.ecoblog.it/post/9543/un-vestito-a-led-per-scoprire-quanto-e-inquinata-laria
[20] cfr . http://gadgether.com/oled-dress-design/


martedì 27 agosto 2013

Eugenio Recuenco 31 Agosto - 16 Novembre 2013 presso CWC Gallery, Berlino.

L'estate sta finendo, molti stanno rientrando a lavoro dalle ferie, altri magari andranno in vacanza, tutto è in movimento, tutto continua, e la creatività e le mostre anche.


A questo proposito, l'arte, la nostra instancabile amica si manifesterà tramite l'estro dell'artista spagnolo Eugenio Recuenco, che avrà una personale alla CWC Gallery di Berlino dal 31 Agosto.

Ecco il mio articolo sul Wall Street International Magazine:
http://www.wsimagazine.com/it/diaries/agenda/art/eugenio-recuenco_20130827075408.html#.UhylW9I9OSo

Enjoy!
:)


AGENDA - Germany, Arti

Eugenio Recuenco

31 Agosto - 16 Novembre 2013 presso CWC Gallery, Berlino.

Eugenio Recuenco

“L’estetica è più alta dell’Etica; appartiene ad una sfera più spirituale.”
“Si dice che la Bellezza non è che superficiale; ciò può darsi; ma in ogni modo ella è assai meno superficiale del Pensiero.” - Oscar Wilde

Eugenio Recuenco, artista-fotografo di fama internazionale, dopo varie esposizioni in vari parti del globo, il prossimo 31 Agosto fino al 16 Novembre avrà una personale alla CWC gallery di Berlino.
Il fotografo di Madrid ci illustra frequentemente mediante i suoi scatti quanto sia possibile tramite l’uso del mezzo fotografico dare vita al sogno. Perché di sogni noir, fatati, glamour si tratta nelle misé en scene di Recuenco. Impeccabile, di una bellezza lucida, patinata, smaltata i personaggi protagonisti. Di una freddezza ferrea e nobile, alata, alta, fiera, una bellezza dirompente e barocca di dettagli mai lasciati al caso, tutto è studiato, tutto sembra essere un set cinematografico.
In che film mi troverò alla prossima immagine? Quanto la vita può essere artificio? Quanto la vita può rassomigliare all’idea fantasy che uno ne ha? Quanto la vita può mescolarsi alla fiaba?
Gli scatti di Recuenco sono sempre posti sotto un riflettore di scultorea bellezza, sembra sempre di attraversare set di film, una passeggiata tra pellicole di registi famelici di favole. Tim Burton sembra dietro l’angolo.
Dal gusto decisamente pittorico, l’artista ci propone veri e propri tableaux-vivants, la finzione immaginaria sembra toccare la cima più alta dell’Olimpo.
Paradossi, scene grottesche, trucchi circensi, da mimi sperduti, da pierrot solitari, un frullato di surrealtà zeppe, ipertrofiche, avvolgenti, perturbanti, stillati di non-sense. Modelli e modelle dai lineamenti spigolosi, sguardi gelidi e congelanti, profondi, che scavano la pellicola fotosensibile, sembrano non appartenere alla norma, la rifiutano, sono sofisti, detengono la bellezza e la perfezione in uno scrigno fotografico.
Quanto il sogno assomiglia all’arte? O quanto l’arte assomiglia al sogno? Il confine di seta è labile e delicato. Adorabile a tal proposito è la serie di scatti dove delle modelle vengono poste in stretta relazione con alcuni quadri di Picasso, nei quali le figure muliebri si auto-generano con tratti geometrici. Una reinterpretazione ben riuscita dell’arte picassiana in chiave prettamente fashion. La moda si specchia nell’arte in un continuum dialogo narcisistico. Recuenco, un fotografo che è cappellaio matto nel mondo di Alice, e Alice sono tutti i suoi personaggi, assurdi, barocchi, esoticamente noir, fumosamente fantastici.
Nature morte sensuali, dai nudi scarificali, e pallidi, tutto sembra una tortuosa posa, una dirompente messa in scena, una grido soffocato alla bellezza, una decapitazione all’impossibile, perché la perfezione nell’attimo fotografico è realmente possibile.
In alcuni scatti di moda, Recuenco sembra mescolare al meglio i mondi fiabeschi e ricamati di McQueen, le perfezioni di Avedon o Demarchelier, le assurdità di Thom Browne e Les Krims.
E poi cappuccetto rosso, Biancaneve, dame settecentesche, le fiabe ritrovano una dimensione estetica ghiacciata, sospesa in un altrove non datato, che non ha memoria, né domani. Intensa la Bella e la Bestia, dove a un grande quadro raffigurante una storpiante bruttezza maschile viene contrapposta una filante bellezza di donna, morbida e sottile, adagiata come una Venere su un divanetto azzurro-oro, presenziano arazzi e pieghe di vesti, che sono onde di oceani nordici e sognanti.
Un’estrema ricerca di bellezza elisabettiana in alcuni ritratti fotografici, dove le modelle rappresentano l’idea di caducità cristallina, sono cristalli caduchi, ragnatele che catturano lo sguardo, fragili dall’enorme mole di bello scagliato.
Teatri di assurda e assordante bellezza.
Plasticità convulsa, talmente smaltata da ricordare la nevosa a-sonorità dei film muti anni trenta negli scatti rappresentanti un uomo-carillon sbirciante da una serratura, perché i mondi di Recuenco sono veramente piccoli carillon, piccoli scenari, fabbriche perpetue di sogni dove la moda atterra soave, e noi tutti siamo piccoli voyeur, piccoli lillipuziani in cerca di isole incontaminate, isole che alla maniera di Wilde sono naufraghe imbevute di un estetismo stremante e corale.
Trionfanti come la quinta di Beethoven, un esercito di Dorian, un esercito napoleonico di opere d’arte i personaggi di Recuenco, sinfonie conquistatrici di bellezza d’haute couture.
Testo di Federica Fiumelli

Cwc Gallery
Auguststrasse 11–13
Berlin–Mitte 10117 Germania
Tel. +49 30 24048614
info@camerawork.de
camerawork.de
Orari di apertura
Martedì - Sabato
Dalle 11.00 alle 19.00
Pubblicato: Martedì, 27 Agosto 2013
Autore: Federica Fiumelli



















martedì 13 agosto 2013

Avery K. Singer. Architetta e regista di misé en scene silenziose, meccaniche e agrodolci.

Ecco pubblicato il mio ultimo articolo su una giovanissima e bravissima 
(vai di superlativi) artista newyorkese:

Avery K Singer sul Wall Street International Magazine.

Versione Italiana e versione inglese.

Enjoy!

:)

Link:

http://www.wsimagazine.com/it/diaries/report/arte/avery-k-singer_20130813152634.html#.UgrZ2tI9OSo

http://www.wsimagazine.com/uk/diaries/report/art/avery-k-singer_20130813153436.html#.Ugraa9I9OSo





REPORT - United States, Art

Avery K. Singer

She plans and register quiet mechanical and bittersweet mises-en-scene.

Avery K. Singer

It happened a few months ago, when I was reading an article published on Vogue, which it was dealing with a weekend in Berlin, that I found the work of a young artist from New York, Avery K Singer.
Born in 1987, Avery K Singer has gained a place for an art exhibition in a State-of-art gallery in Berlin, called The Kraupa – Tuskany Zeidler. The artist's works represent a mix of Cubism, neo-Plasticism, Constructivism and 3D animation, from the abstract to the concrete. It seems a “Tale of Ordinary Madness”, like Bukowski would have said. The Saturday Night scene releases a little bit of an early nostalgic flavour which comes out from a bottle full of Morandian echos. The protagonist falls on a counter. Everything seems a loneliness made of volumes and shadows, white, black and greycolors, conflicting dichotomies, alcohol and happy memories which are believed to be presumed. Everything is sculpture, a sculpture full of pain which turns into tired and rainy shadows. It seems to hear from afar the Tom Waits' rough voice that sings Blue Valentines, like a heart-rending echo.
Avery K Singer has been given us some acrylic paintings on canvas, on a black and white background, until now. She gives her works of art a suspension effect, like it was a mute film of the 30s. She realized some astonishing works, entitled “Performance Artists”, “The Great Muses”, “Interrogation Spotlight”, “Dancers around an Effegy to Modernism”. They are real constructions, mise-en-scenes, that seem to dialogue, instead of hailing from the past.
It is an authentic reconstruction of a true story, located at the present time. Avery K Singer let her artsubmit towards the primitive and mechanic, the antiquity and the future.
It wasn't impossible to avoid devisiting the angularity of the great Picassian masterpiece “Demoiselles d'Avignon”, the cubist plasticity, or the reconstructional conception of the Universe in a rational and geometrical way. In addition, it wasn't impossible to forget finding back the classical puppets, the dummies, the typical muses of the Dechirichian memory, in those standardized frozen and metaphysical situations which only Avery K Singer is able to create.
The influence of the black masks, the multiple points of view, the treatment of the geometricized and mechanomorphous bodies, plastical and independent shapes which descend from the psychical and logical perceptions.
Everything is oriented towards this concreteness, which is loved and eulogized by the cubist painters. The version represented by Avery K Singer is an instance of a substituted life, it can be described as the alcoholic side of dreams and visions. The young artist from New York is inspired by the great historical Avant-garde, she treasures this kind of artistic tendency, she takes care of her secrets, she reelaborates them, she gives her secrets a new and contemporary scent.
The Singer's painting is a nostalgic, but at the same time ever-functioning music box. The characters are usually crossed by grilled shadows. Horizontal and vertical lines meet each other like they were secret and contorted jails, or prisons full of memory from whom come out fleeting looks. Those who love admirating these masterpieces are, for sure, gorgeous and jealous of these visionary microcosms.
Moreover, in works like “Fellow Travelers, Flaming Creatures”, it seems that a talented new fashion photographer or a geometricized Avedon takes pictures of iconic models whose hair turns into real rungs and it seems that their heights keep on leading towards a gravityless lack of though. Everything is located in a crazy photographic set, obviously. What counts is the shape.
Her works realized in 2012 and 2011 are characterized by the presence of an inspiration, descending from the classical Picassian primitivism, surrounded by several solitary and naked geometrical muses. The blacks and the whites are fused on greyscales, between volumes and abstractions, which give us a transcendental and sober atmosphere, fashionable, like we were behind a vodka Martini olive juice, the typical cosmopolitan New York City cocktail, that is elegant and light, with nuanced colors and a bit of ash, fade and as a consequence a rational and plastical depot.
She plans and register quiet mechanical and bittersweet mises-en-scene. Avery K Singer will continue to wonder us, for sure.
Published: Tuesday, 13 August 2013
Author: Federica Fiumelli

Avery K. SingerAvery K. SingerAvery K. Singer

Avery K. Singer

Architetta e regista di misé en scene silenziose, meccaniche e agrodolci.

Avery K. Singer

E’ stato sfogliando Vogue qualche mese fa, leggendo un articolo su un weekend a Berlino che ho scoperto il lavoro della giovanissima artista newyorkese Avery K. Singer.

Nata nel 1987 Avery K. Singer ha avuto una personale in una delle gallerie berlinesi di ultima generazione, la Kraupa – Tuskany Zeidler. Tra astratto e concreto i lavori dell’artista sono un cocktail di cubismo, neoplasticismo, costruttivismo e animazione 3D. Sembra una storia di ordinaria follia, per dirla alla Bukowski, dal sapore nostalgico e primitivo la scena di “Saturday Night” con una bottiglia dagli echi morandiani, il protagonista si accascia su un bancone, una solitudine fatta di volumi e ombre, di bianchi e neri, di grigi, dicotomie contrastanti, alcool e presunti ricordi felici. Scolpito dai suoi stessi dolori che divengono ombre pioventi e stanche. Sembra quasi di sentire in lontananza, come un eco struggente e malinconico, graffiante la ruvida voce di Tom Waits cantare Blue Valentines.

Avery K Singer ci ha regalato fin ora acrilici su tela in bianco e nero, dando un effetto di sospensione, da film muto anni trenta.
“Performance artists”, “The Great Muses”, “Interrogation Spotlight”, “Dancers around an Effegy to Modernism”, titoli dei lavori del 2013, costruzioni, messe in scena, che sembrano dialogare piuttosto che derivare dal passato.

Una ricostruzione della storia innestata nel contemporaneo. Tra primitivo e meccanico, tra antico e futuro si perde l’arte della Singer.

Come non ritrovare le spigolosità delle forme care alle Demoiselles d’Avignon, o le plasticità cubiste, o la concezione di ricostruzione dell’universo in maniera geometrica e razionale? Come non ritrovare i fantocci, i manichini, le muse di Dechirichiana memoria, nelle situazioni congelate e metafisiche della Singer?

L’influsso delle maschere negre, la molteplicità di punti di vista, il trattamento dei corpi geometrizzante e meccanomorfo, forme plastiche autonome derivanti da percezioni psichiche o logiche, il tutto verso quella concretezza che fu cara ai cubisti. Un surrogato alla realtà, la versione un po’ alcolica di sogni e visioni, quella di Avery.

La giovane artista newyorkese si lascia ispirare dalle grandi Avanguardie storiche, ne fa tesoro, ne custodisce i segreti, li fa suoi, e li rielabora, ne da un nuovo aspetto con occhio e profumo contemporaneo, un carillon nostalgico ma sempre funzionante la pittura della Singer. I personaggi spesse volte sono attraversati da ombre a griglia, linee orizzontali e verticali si incontrano quasi a dare l’idea di una prigionia tortuosa e segreta, carceri di sguardi o di memoria, chi guarda è sicuramente un voyeur goloso e geloso di questi piccoli mondi visionari. In “Fellow Travelers, Flaming Creatures” sembra che un fotografo magari di moda, un Avedon geometrizzato scatti foto su un folle set fotografico a modelle non bioniche ma iconiche, capelli che sono gradini, altezze che portano ad assenza di gravità di pensiero. Quello che conta è la forma.

Nei lavori del 2012 e 2011 è ancora più forte la presenza di un ispirazione derivante dal primitivismo di origine picassiana, di muse solitarie dai nudi geometrici. I bianchi e i neri, fusi nell’intermezzo del grigio, tra volumi e astrazioni ci donano un’atmosfera trascendentale e sobria, chic, da martini bianco e olive, da aperitivo newyorkese cosmopolita, elegante e leggero, colori da fumo e cenere, dissolvenza e poi deposito razionale e plastico.

Architetta e regista di misé en scene silenziose, meccaniche e agrodolci Avery K Singer sicuramente ci stupirà ancora.
Pubblicato: Martedì, 13 Agosto 2013
Autore: Federica Fiumelli

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