Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

martedì 6 dicembre 2016

Arcadia: Rachele Maistrello in mostra a Bologna, a Gelateria Sogni Di Ghiaccio




Rachele Maistrello, nata nel 1986 a Vittorio Veneto, si è formata tra lo IUAV di Venezia, L’ENSBA di Parigi e lo ZHdK di Zurigo, e oggi è sicuramente una delle artiste più interessanti della sua generazione.
Come affermato in una intervista per Vogue, si è avvicinata all’arte, con particolare attenzione verso la fotografia, per una necessità, un bisogno di comprendere e leggere la realtà oltre quello che normalmente si vede; l’artista fa della propria poetica una visione sdoppiata del reale. Fra i suoi riferimenti culturali e artistici: Adrian Paci, Guido Guidi, Beat Streuli, Armin Linke, Giorgio Agamben, Annette Messager e Angela Vettese, ma non solo, Bruce Nauman, ogni scritto e film di Pasolini, il giardino di Niki de Saint Phalle, le fotografie di Ghirri, Eggleston, Diane Arbus, Giacomelli, Alessandra Sanguinetti, Philip-Lorca di Corcia, certi film di Fellini e di Chaplin, e moltissima letteratura: Stendhal, Pavese, Conrad, Dostoevskij, Henry James, Dante, Flaubert, Melville, Goethe.
Gelateria Sogni Di Ghiaccio, nuovo spazio indipendente per l’arte contemporanea a Bologna, ha deciso di accogliere proprio la Maistrello per la loro prima esposizione visitabile fino al 28 novembre. Per questi luoghi, l’artista ha proposto Arcadia.
Arcadia tempo di un luogo mitico, geografia del mito nel quotidiano, è un’opera composta a sua volta da più realizzazioni interdipendenti tra loro, un dialogo tra reale e surreale, alla ricerca del significato di profondi stereotipi e simboli antropologici come stelle e galassie.
Arcadia la ritroviamo nei video. First attempt, un fondale della Via Lattea preso dalla Nasa, a metà tra rigore scientifico ed estetica patinata, viene trascinato da un ambiente all’altro, dalle periferie bolognesi a luoghi domestici, più intimi, nei quali l’artista è entrata in punta di piedi come un voyeur bizzarro e ingordo. Sono state riprese così scene nelle quali bambini giovanissimi, contrapposti alle figure per età antitetica dei nonni, parlano, ci osservano, una bambina si cimenta al piano, qualcuno, prova a suonare, sempre, goffamente, note distorte. Ma è proprio questo elemento di distorsione, d’imperfezione, di tentativo di stonatura che reca efficacia al topos di Arcadia, dove il montaggio è stato per lo più escluso e l’illuminazione mantenuta naturale. Sotto i ponti autostradali, nelle periferie, dove le strade sono echi desolati, ragazzine fanno capriole e “cazzeggiano” sonnecchiando tra la noia e l’estasi, proprio sulla scenografia mobile. L’universo si fa gioco o diviene gioco di una giovinezza in crisi, forse abbandonata, ma questa volta di scena in una “festa mobile”. Proprio come scrisse Hemingway nella prefazione della sua Festa Mobile: “Se il lettore lo preferisce, questo libro può essere considerato opera di fantasia. Ma esiste sempre la possibilità che un’opera di fantasia come questa getti un po’ di luce su ciò che è andato sotto il nome di realtà”.
In questi lavori della Maistrello il mitico e il quotidiano si fondono interrogandosi, su diversi tempi e diversi luoghi, dal dilatato all’immediato, per frammenti di visione e sospensione. Il tempo del video, quello della performance e quello della fotografia sono un unico luogo, atemporale come Arcadia, dove i dettagli, come le biglie o gli adesivi rappresentanti reazioni stellari di combustione, trovano una logica di compimento.
In Third attempt, atto conclusivo di questo dialogo, la scenografia viene smantellata e le sue componenti installate in un ambiente naturale all’alba, sulla cima di uno dei calanchi del Parco Regionale dei Gessi Bolognesi, come viene sottolineato nel testo critico: “La costruzione dell’immagine diventa così un atto fisico in cui il raggiungimento della vetta sorregge lo slancio verso l’icona”. L’esposizione si conclude così, in un atto catartico, dove l’artista si disfa dei suoi mezzi per ricongiungersi nello spazio etereo del simbolo.
Come viene definito nello statement dell’artista: “La sontuosità del kitsch, la contraddizione del tautologico, l’iconologia del periferico, sono tutte facce di una medesima ricerca: sulle persone, sulle loro private eroicità, sui loro simboli quotidiani. Il risultato si compone di opere fotografiche, collages, disegni, video e installazioni”.
Il lavoro della Maistrello, più che trasversale, consiste nell’interrogare, nell’esplorare, nello scivolare in altri mondi tramite l’utilizzo di altri mondi, che essi appartengano alla letteratura o a momenti di osservazione nati all’angolo di un bar, poco importa, quello che conta è che reale e surreale riescano a con-fondersi per dimenticare e farci dimenticare la monogamia del credere che quello che esiste sia comprensibile solo a una semplice apparenza. Arcadia come possibilità mobile, in molteplici spazi di accadimento e condivisione dove il mito risorge in attimi di quotidianità stonata.

Federica Fiumelli




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