Un mio autoritratto? Avrei voluto avere i capelli della venere di Botticelli, il sorriso della Gioconda, gli occhi alla Picasso, il collo alla Modigliani, i colori di Matisse, il corpo scolpito da Canova e la grazia delle muse Preraffaellite; avrei voluto essere di una bellezza fredda e smaltata alla Otto Dix per giocare una partita a scacchi con Duchamp in un bar dalla grande vetrina come quelli di Hopper. Per il futuro mi piacerebbe rimanere impressa come un’icona pop di Warhol e volare nell’altrove come gli amanti di Chagall.

sabato 13 agosto 2016

Alberto Biasi – Gli ambienti. Tessiture preziose e talvolta antitetiche

link: http://wsimag.com/it/arte/20772-alberto-biasi-gli-ambienti




Il percorso artistico dell'artista padovano Alberto Biasi non può essere letto come settoriale, volto in un'unica direzione, ma anzi proprio l'attività svolta a cavallo fra il sesto e il settimo decennio del secolo scorso, dove ha preso vita un contesto culturale talmente denso di eventi da impedire qualsiasi ortodossia, ha dimostrato l'essere di Biasi, una perla rara, dalle tessiture preziose e talvolta antitetiche.
L'importanza della mostra a lui dedicata a Palazzo Pretorio di Cittadella, che in maniera graduale sta diventando sempre più un centro prezioso di studi per l'arte contemporanea per l'accuratezza e la professionalità scientifiche, dimostra e ripercorre storicamente l'eredità e il dna di un'arte "bistrattata" dalle colleghe, prima la pop art e poi con il nascere dell'arte povera alimentata da Celant, come l'arte programmata-optical-cinetica. I 7 ambienti riproposti, realizzati e allestiti ad hoc, ci fanno risalire alle origini di un'Italia in fermento, agli anni '60 e '70 senza però guardare allora con nostalgia, ma con un ampio sforzo critico capace di creare un elastico attrito riflessivo con il contemporaneo.
Si ripercorrono così le fasi germinali del Gruppo N, di una concezione artistica contro il personalismo dell'artista e che ha sviluppato invece un "fare" incentrato sulla funzione, sulla relazione e sulla collettività. Nei ricordi di Biasi, cruciale l'incontro con Bruno Munari, e la progettazione della Mostra del pane. Contro il culto della personalità e contro il mito della creazione artistica del 1961.
Nel catalogo ragionato della mostra che vanta i contributi scientifici del curatore Guido Bartorelli, e di Elisa Baldini, Federica Stevanin, Giuseppe Virelli, vengono riportate le parole dello stesso Biasi: "Annoto che quella mostra esplicitava soprattutto una concezione dell'arte e dell'artista, che in quel momento avevamo maturato. In sintesi: si pensava sia che il pane fosse arte e l'arte fosse pane nel momento in cui venivano concepiti come tali dal fruitore e sia che l'attività dell'artista e del fornaio fossero assimilabili. E infatti dopo quella mostra tutte le opere ideate dal Gruppo non vennero firmate, ma solo siglate Gruppo N".
Il resto verrebbe quasi da dire è storia, ma l'importanza di un concetto che qui mi preme sottolineare è sicuramente il senso di collettività che soprattutto oggi, a mio parere, se non è perso in maniera totale, leso e opacizzato, è appannato sicuramente dalle velleità individualistiche imposte da un mercato sempre più basato, soprattutto dagli anni '90 in poi, su l'arti-star.
Il concetto di spazio e di ambienti è poi il focus centrale dell'esposizione, già da Mostra chiusa. Nessuno è invitato a intervenire del 1960, lo spazio concettuale che fu negato nella storica anti-esposizione, già si prestava alla volontà di render gli ambienti praticabili. Gli Achromes di Manzoni, Le Linee, gli esperimenti dell'assoluto anticipatore Lucio Fontana, Azimuth, tutto ciò vibrava "nell'aria" e la figura dell'artista ha sicuramente la peculiarità e il merito di captare che qualcosa è sempre in via di mutazione e scoperta. Come sottolineato da Guido Bartorelli, l'arte programmata come quella minimalista americana nacquero entrambe dal rilancio congiunto di costruttivismo e ready-made: "una congiunzione che spinse le forme a uscire dall'idealismo astratto per incarnarsi nella dimensione gestaltica-fenomenologica".
Ed è infatti nel gene nomino, nell'interazione da parte dei visitatori, ciò che gli ambienti richiedono, ogni riverenza contemplativa viene surclassata per fare spazio all'esperienza diretta, e al convolgimento sinestetico. È così che fino al 6 novembre, i sette ambienti, Spazio Elastico, Proiezione di luce e ombra, light prisms - grande tuffo nell'arcobaleno, spazio oggetto ellebi, Io sono, tu sei egli è..., Eco, risiederanno negli spazi di Palazzo Pretorio di Cittadella, dove proprio nel 1959 cominciò la carriera artistica dell'artista con la vincita del primo premio alla IV Biennale Giovanile d'Arte di Cittadella.
Spazio Elastico occupa una porzione di spazio con file di cubi sospesi attraverso i quali il visitatore è invitato a passare, può essere definito un "ambiente totale"', un lavoro partecipativo, ed è necessario qui riprendere le parole di Bruno Munari, sul concetto di opera sinestetica, nel suo famoso Manifesto dell'Arte Totale, riprendendo "differentemente" le teorie espresse nel Manifesto della ricostruzione futurista dell'universo di Balla e Depero del 1915, e che Giuseppe Virelli riporta nel suo saggio del catalogo: "L'arte totale vuole interessare direttamente tutti i sensi per comunicare con maggior possibilità il dato reale. [...] da ciò gli oggetti totali saranno da guardare, toccare, fiutare, ascoltare. Da oggi finalmente, oltre allo spirito, il corpo e i sensi dell'uomo non-artista possono partecipare direttamente all'emozione artistica".
Nelle parole dello stesso Biasi: "Tutto il movimento moderno di rinnovamento in campo artistico è nato proprio dal bisogno di dialogo sempre più serrato fra l'artista e lo spettatore, per ritrovare quella partecipazione reciproca necessaria alla formazione della 'nuova arte' e per permettere il godimento immediato degli oggetti creati a tutta la società del nostro tempo: bene che era stato perduto da vari secoli per la separazione fra la maggior parte del pubblico e l'artista".
Proiezione di luce e ombra, un cubo di lamiera forata contenente una seconda lamina fessurata rotante per mezzo di un piccolo elettromotore illuminata internamente da una lampadina, inserisce la quarta dimensione, ovvero il tempo, o meglio lo spazio-tempo nel quale veniamo risucchiati fascinosamente in un movimento perpetuo ed evanescente di luminosi fasci puntiformi. Scrive Virelli: "In questo environment la radiazione luminosa, essendo proiettata dinamicamente all'interno dell'ambiente architettonico circostante, agisce contemporaneamente su due fronti apparentemente opposti: da un lato funge da 'fattore costruttivo di forme e spazi' e, dall'altro, sottende un'inevitabile dissoluzione dello spazio medesimo". La dicotomia non fa che rafforzare una diversa percezione delle coordinate spazio-temporali.
Light prism oltre ad essere uno dei lavori più belli e coinvolgenti in mostra, è a tutti gli effetti il lavoro di ricerca più anomalo e complesso e longevo della produzione artistica di Biasi come afferma Elisa Baldini. L'opera è una sorta di riproposizione dell'esperimento sulla frangibilità di Isaac Newton. Italo Mussa, come riporta la Baldini, scrisse: "un contenitore/teca nel cui interno raggi luminosi generati artificialmente vengono scomposti e rifratti da pareti specchianti creando in questo modo un gioco di rimandi infinitamente articolato. La luce genera colori puro dal notevole spessore cromatico. La spazialità è creata dalla danza dei fasci luminosi in un perpetuo gioco percettivo virtuale la cui durata spazio temporale è calcolabile solo nella distribuzione infinita dei raggi luminosi. Non ci sono illusioni spaziali, perché la spazialità è data dai raggi luminosi medesimi; la virtualità del movimento è indeterminata, qualificata solo dalla durata appercettiva. Pur essendo programmata (mediante motori elettrici), la durata spazio temporale di ciascuno spostamento visuale è calcolabile soltanto nelle distribuzione infinita dei raggi luminosi".
Come nella danza di Loie Fuller (artista che ho ricordato/associato trovandomi lì all'interno dell'opera), lo spazio viene suggerito/sussurrato nell'illusione del cromatismo e del movimento, e non si può che esser rapiti da quelle forme senza peso che invadono lo spazio e ci rendono partecipi di un mistero semi concesso e semi svelato. È così che lo spazio insieme al nostro sguardo, accadono, in una "progettazione di apparenze". Nella diversità della rifrazione, i sensi si abbandonano. Giulio Carlo Argan affermò: "Abolendo l'oggetto d'arte e provocando il fatto estetico tramite sollecitazioni dirette della facoltà percettiva-immaginativa del fruitore, le ricerche visive portano a termine il processo di desacralizzazione dell'arte: la quale dunque non avrà più bisogno di inquadrarsi in una filosofia, l'estetica, ma sarà spiegata, come ogni altro fenomeno, dalla scienza".
Con Spazio-oggetto ellebi la mostra prosegue all'insegna di "un'avventura per la vista, per l'occhio di tutti". Una definizione data da Caroline Tisdall e riportata da Federica Stevanin. L'opera è concepita come "un dispositivo rivolto all'attivazione psico-percettiva e motoria dello spettatore, fruitore e insieme collaboratore". La realizzazione pensata ad hoc per gli spazi di Palazzo Pretorio ci inganna, creando l'illusione di un ambiente reale, che scuote e si fa beffa al contempo dei nostri sensi. Come continua la Stevanin rifacendosi allo straordinario testo di Umberto Eco, è da considerarsi come "un'opera aperta, in grado di attivare un rapporto di scambio con il singolo fruitore e capace di restituire la medesima ambigua 'sensazione del movimento instabile, del farsi e disfarsi delle forme'".
Orizzontale Ellebi del 1967 ci fa precipitare in un clima assolutamente psichedelico, sui ritmi fluidi e lunghi dei Jefferson Airplane, l'opera: un tappeto calpestabile composto da sacche contenenti oli e liquidi fluorescenti sovrapposte a strati che, sotto la pressione di man e piedi, generano sempre nuove configurazioni di forme e colori all'interno del contenitore di polietilene. Federica Stevanin ci conduce poi in una riflessione molto interessante dal mio punto di vista e che mette in relazione quest'opera con il mezzo fotografico: "È possibile rilevare in questo lavoro la presenza di un'estetica tipica della 'logica dell'indice'". Alla luce dell'analisi semiotica di Charles S. Pierce e dalla sua ricezione nel dibattito critico internazionale sulla fotografia attraverso il pensiero di Rosalind Krauss e di Claudio Marra, 'L'indice è quel tipo di segno che lo stesso Pierce ha chiamato anche - impronta, oppure - traccia, un segno che pare autoprodursi per generazione diretta del referente, in maniera - automatica', un processo quindi del tutto omologo a quello dell'impressione fotografica".
E ancora: "Come è stato evidenziato da Marra sulla scorta critica di Krauss, esiste una sorta di 'fotograficità implicita' che caratterizza tanta parte dell'arte contemporanea e che emerge anche nei casi in cui gli artisti, pur non servendosi direttamente del mezzo fotografico ne adottano le componenti concettuali più specifiche, tra queste la 'logica dell'indice' che, dal ready made di Marcel Duchamp, arriva ad abbracciare le performance, il video, l'installazione e l'ambiente".
La riuscita di questa esposizione è inutile dirlo, oltre al talento dell'artista Alberto Biasi, ancora attivo e dall'intelligenza e dalla creatività strabordanti, sta nella professionalità del comitato scientifico che sta (lo ripeto) portando a Palazzo Pretorio mostre dal calibro importante e cucite intorno a un accurato senso critico. L'esposizione Gli ambienti, resa possibile anche grazie alla collaborazione con maab gallery, è un'occasione veramente preziosa per interrogarsi su questioni basilari dell'arte contemporanea, sul ruolo dell'artista, sui diversi dispositivi artistici, sull'eredità del passato e sulle scommesse del futuro, sul mercato e sul senso non secondario della collettività e dell'esperire.
Biasi mixa la riflessione alla parte ludica, creando una forma di visione possibile, un'alternativa, una possibilità di fruizione differente, attraverso la quale la nostra percezione si abbandona alla vertigine. Vertigine e orientamento, una dicotomia possibile nella poetica dell'artista. La forma conquista l'occhio, ma la grandezza sta nel non limitarsi a quest'ultimo, bensì a tutto l'apparato percettivo. Una mostra da penetrare con i sensi, nella più precisa volontà che la parola: estetica comporta, un'orizzontalità che permette lo spazio del movimento e del sentire.
Concludo con un'affermazione di Udo Kultermann riportata dalla Stevanin: "L'artista è divenuto mediatore dell'esperienza e dell'azione, azionatore di quel ponte divenuto tanto necessario fra l'uomo e l'opera d'arte. Come tale egli va al di là del suo tempo e dello spazio [...] e plasma lo spirito con quale l'uomo guarda alla realtà. Ciò rende possibile l'esistere in un senso più vasto. L'artista è colui che ci rende capaci di orientarci nel nostro mondo". 

Federica Fiumelli






















 

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