Il percorso artistico dell'artista padovano Alberto
Biasi non può essere letto come settoriale, volto in un'unica
direzione, ma anzi proprio l'attività svolta a cavallo fra il sesto e il
settimo decennio del secolo scorso, dove ha preso vita un contesto
culturale talmente denso di eventi da impedire qualsiasi ortodossia, ha
dimostrato l'essere di Biasi, una perla rara, dalle tessiture preziose e
talvolta antitetiche.
L'importanza della mostra a lui dedicata a Palazzo Pretorio di
Cittadella, che in maniera graduale sta diventando sempre più un centro
prezioso di studi per l'arte contemporanea per l'accuratezza e la
professionalità scientifiche, dimostra e ripercorre storicamente
l'eredità e il dna di un'arte "bistrattata" dalle colleghe, prima la pop
art e poi con il nascere dell'arte povera alimentata da Celant, come
l'arte programmata-optical-cinetica. I 7 ambienti riproposti, realizzati
e allestiti ad hoc, ci fanno risalire alle origini di un'Italia in
fermento, agli anni '60 e '70 senza però guardare allora con nostalgia,
ma con un ampio sforzo critico capace di creare un elastico attrito
riflessivo con il contemporaneo.
Si ripercorrono così le fasi germinali del Gruppo N, di una
concezione artistica contro il personalismo dell'artista e che ha
sviluppato invece un "fare" incentrato sulla funzione, sulla relazione e
sulla collettività. Nei ricordi di Biasi, cruciale l'incontro con Bruno
Munari, e la progettazione della Mostra del pane. Contro il culto della personalità e contro il mito della creazione artistica del 1961.
Nel catalogo ragionato della mostra che vanta i contributi
scientifici del curatore Guido Bartorelli, e di Elisa Baldini, Federica
Stevanin, Giuseppe Virelli, vengono riportate le parole dello stesso
Biasi: "Annoto che quella mostra esplicitava soprattutto una concezione
dell'arte e dell'artista, che in quel momento avevamo maturato. In
sintesi: si pensava sia che il pane fosse arte e l'arte fosse pane nel
momento in cui venivano concepiti come tali dal fruitore e sia che
l'attività dell'artista e del fornaio fossero assimilabili. E infatti
dopo quella mostra tutte le opere ideate dal Gruppo non vennero firmate,
ma solo siglate Gruppo N".
Il resto verrebbe quasi da dire è storia, ma l'importanza di un
concetto che qui mi preme sottolineare è sicuramente il senso di
collettività che soprattutto oggi, a mio parere, se non è perso in
maniera totale, leso e opacizzato, è appannato sicuramente dalle
velleità individualistiche imposte da un mercato sempre più basato,
soprattutto dagli anni '90 in poi, su l'arti-star.
Il concetto di spazio e di ambienti è poi il focus centrale dell'esposizione, già da Mostra chiusa. Nessuno è invitato a intervenire
del 1960, lo spazio concettuale che fu negato nella storica
anti-esposizione, già si prestava alla volontà di render gli ambienti
praticabili. Gli Achromes di Manzoni, Le Linee, gli esperimenti dell'assoluto anticipatore Lucio Fontana, Azimuth,
tutto ciò vibrava "nell'aria" e la figura dell'artista ha sicuramente
la peculiarità e il merito di captare che qualcosa è sempre in via di
mutazione e scoperta. Come sottolineato da Guido Bartorelli, l'arte
programmata come quella minimalista americana nacquero entrambe dal
rilancio congiunto di costruttivismo e ready-made: "una congiunzione che
spinse le forme a uscire dall'idealismo astratto per incarnarsi nella
dimensione gestaltica-fenomenologica".
Ed è infatti nel gene nomino, nell'interazione da parte dei
visitatori, ciò che gli ambienti richiedono, ogni riverenza
contemplativa viene surclassata per fare spazio all'esperienza diretta, e
al convolgimento sinestetico.
È così che fino al 6 novembre, i sette ambienti, Spazio Elastico,
Proiezione di luce e ombra, light prisms - grande tuffo nell'arcobaleno,
spazio oggetto ellebi, Io sono, tu sei egli è..., Eco,
risiederanno negli spazi di Palazzo Pretorio di Cittadella, dove proprio
nel 1959 cominciò la carriera artistica dell'artista con la vincita del
primo premio alla IV Biennale Giovanile d'Arte di Cittadella.
Spazio Elastico occupa una porzione di spazio con file di
cubi sospesi attraverso i quali il visitatore è invitato a passare, può
essere definito un "ambiente totale"', un lavoro partecipativo, ed è
necessario qui riprendere le parole di Bruno Munari, sul concetto di
opera sinestetica, nel suo famoso Manifesto dell'Arte Totale, riprendendo "differentemente" le teorie espresse nel Manifesto della ricostruzione futurista dell'universo
di Balla e Depero del 1915, e che Giuseppe Virelli riporta nel suo
saggio del catalogo: "L'arte totale vuole interessare direttamente tutti
i sensi per comunicare con maggior possibilità il dato reale. [...] da
ciò gli oggetti totali saranno da guardare, toccare, fiutare, ascoltare.
Da oggi finalmente, oltre allo spirito, il corpo e i sensi dell'uomo
non-artista possono partecipare direttamente all'emozione artistica".
Nelle parole dello stesso Biasi: "Tutto il movimento moderno di
rinnovamento in campo artistico è nato proprio dal bisogno di dialogo
sempre più serrato fra l'artista e lo spettatore, per ritrovare quella
partecipazione reciproca necessaria alla formazione della 'nuova arte' e
per permettere il godimento immediato degli oggetti creati a tutta la
società del nostro tempo: bene che era stato perduto da vari secoli per
la separazione fra la maggior parte del pubblico e l'artista".
Proiezione di luce e ombra, un cubo di lamiera forata
contenente una seconda lamina fessurata rotante per mezzo di un piccolo
elettromotore illuminata internamente da una lampadina, inserisce la
quarta dimensione, ovvero il tempo, o meglio lo spazio-tempo nel quale
veniamo risucchiati fascinosamente in un movimento perpetuo ed
evanescente di luminosi fasci puntiformi. Scrive Virelli: "In questo
environment la radiazione luminosa, essendo proiettata dinamicamente
all'interno dell'ambiente architettonico circostante, agisce
contemporaneamente su due fronti apparentemente opposti: da un lato
funge da 'fattore costruttivo di forme e spazi' e, dall'altro, sottende
un'inevitabile dissoluzione dello spazio medesimo". La dicotomia non fa
che rafforzare una diversa percezione delle coordinate spazio-temporali.
Light prism oltre ad essere uno dei lavori più belli e
coinvolgenti in mostra, è a tutti gli effetti il lavoro di ricerca più
anomalo e complesso e longevo della produzione artistica di Biasi come
afferma Elisa Baldini. L'opera è una sorta di riproposizione
dell'esperimento sulla frangibilità di Isaac Newton. Italo Mussa, come
riporta la Baldini, scrisse: "un contenitore/teca nel cui interno raggi
luminosi generati artificialmente vengono scomposti e rifratti da pareti
specchianti creando in questo modo un gioco di rimandi infinitamente
articolato. La luce genera colori puro dal notevole spessore cromatico.
La spazialità è creata dalla danza dei fasci luminosi in un perpetuo
gioco percettivo virtuale la cui durata spazio temporale è calcolabile
solo nella distribuzione infinita dei raggi luminosi. Non ci sono
illusioni spaziali, perché la spazialità è data dai raggi luminosi
medesimi; la virtualità del movimento è indeterminata, qualificata solo
dalla durata appercettiva. Pur essendo programmata (mediante motori
elettrici), la durata spazio temporale di ciascuno spostamento visuale è
calcolabile soltanto nelle distribuzione infinita dei raggi luminosi".
Come nella danza di Loie Fuller (artista che ho ricordato/associato
trovandomi lì all'interno dell'opera), lo spazio viene
suggerito/sussurrato nell'illusione del cromatismo e del movimento, e
non si può che esser rapiti da quelle forme senza peso che invadono lo
spazio e ci rendono partecipi di un mistero semi concesso e semi
svelato. È così che lo spazio insieme al nostro sguardo, accadono, in
una "progettazione di apparenze". Nella diversità della rifrazione, i
sensi si abbandonano. Giulio Carlo Argan affermò: "Abolendo l'oggetto
d'arte e provocando il fatto estetico tramite sollecitazioni dirette
della facoltà percettiva-immaginativa del fruitore, le ricerche visive
portano a termine il processo di desacralizzazione dell'arte: la quale
dunque non avrà più bisogno di inquadrarsi in una filosofia, l'estetica,
ma sarà spiegata, come ogni altro fenomeno, dalla scienza".
Con Spazio-oggetto ellebi la mostra prosegue all'insegna di
"un'avventura per la vista, per l'occhio di tutti". Una definizione data
da Caroline Tisdall e riportata da Federica Stevanin. L'opera è
concepita come "un dispositivo rivolto all'attivazione psico-percettiva e
motoria dello spettatore, fruitore e insieme collaboratore". La
realizzazione pensata ad hoc per gli spazi di Palazzo Pretorio ci
inganna, creando l'illusione di un ambiente reale, che scuote e si fa
beffa al contempo dei nostri sensi. Come continua la Stevanin
rifacendosi allo straordinario testo di Umberto Eco, è da considerarsi
come "un'opera aperta, in grado di attivare un rapporto di scambio con
il singolo fruitore e capace di restituire la medesima ambigua
'sensazione del movimento instabile, del farsi e disfarsi delle forme'".
Orizzontale Ellebi del 1967 ci fa precipitare in un clima
assolutamente psichedelico, sui ritmi fluidi e lunghi dei Jefferson
Airplane, l'opera: un tappeto calpestabile composto da sacche contenenti
oli e liquidi fluorescenti sovrapposte a strati che, sotto la pressione
di man e piedi, generano sempre nuove configurazioni di forme e colori
all'interno del contenitore di polietilene. Federica Stevanin ci conduce
poi in una riflessione molto interessante dal mio punto di vista e che
mette in relazione quest'opera con il mezzo fotografico: "È possibile
rilevare in questo lavoro la presenza di un'estetica tipica della
'logica dell'indice'". Alla luce dell'analisi semiotica di Charles S.
Pierce e dalla sua ricezione nel dibattito critico internazionale sulla
fotografia attraverso il pensiero di Rosalind Krauss e di Claudio Marra,
'L'indice è quel tipo di segno che lo stesso Pierce ha chiamato anche -
impronta, oppure - traccia, un segno che pare autoprodursi per
generazione diretta del referente, in maniera - automatica', un processo
quindi del tutto omologo a quello dell'impressione fotografica".
E ancora: "Come è stato evidenziato da Marra sulla scorta critica di
Krauss, esiste una sorta di 'fotograficità implicita' che caratterizza
tanta parte dell'arte contemporanea e che emerge anche nei casi in cui
gli artisti, pur non servendosi direttamente del mezzo fotografico ne
adottano le componenti concettuali più specifiche, tra queste la 'logica
dell'indice' che, dal ready made di Marcel Duchamp, arriva ad
abbracciare le performance, il video, l'installazione e l'ambiente".
La riuscita di questa esposizione è inutile dirlo, oltre al talento
dell'artista Alberto Biasi, ancora attivo e dall'intelligenza e dalla
creatività strabordanti, sta nella professionalità del comitato
scientifico che sta (lo ripeto) portando a Palazzo Pretorio mostre dal
calibro importante e cucite intorno a un accurato senso critico.
L'esposizione Gli ambienti, resa possibile anche grazie alla
collaborazione con maab gallery, è un'occasione veramente preziosa per
interrogarsi su questioni basilari dell'arte contemporanea, sul ruolo
dell'artista, sui diversi dispositivi artistici, sull'eredità del
passato e sulle scommesse del futuro, sul mercato e sul senso non
secondario della collettività e dell'esperire.
Biasi mixa la riflessione alla parte ludica, creando una forma di
visione possibile, un'alternativa, una possibilità di fruizione
differente, attraverso la quale la nostra percezione si abbandona alla
vertigine. Vertigine e orientamento, una dicotomia possibile nella
poetica dell'artista. La forma conquista l'occhio, ma la grandezza sta
nel non limitarsi a quest'ultimo, bensì a tutto l'apparato percettivo.
Una mostra da penetrare con i sensi, nella più precisa volontà che la
parola: estetica comporta, un'orizzontalità che permette lo spazio del
movimento e del sentire.
Concludo con un'affermazione di Udo Kultermann riportata dalla
Stevanin: "L'artista è divenuto mediatore dell'esperienza e dell'azione,
azionatore di quel ponte divenuto tanto necessario fra l'uomo e l'opera
d'arte. Come tale egli va al di là del suo tempo e dello spazio [...] e
plasma lo spirito con quale l'uomo guarda alla realtà. Ciò rende
possibile l'esistere in un senso più vasto. L'artista è colui che ci
rende capaci di orientarci nel nostro mondo".
Federica Fiumelli
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