Prima trovare. Poi cercare.
Jean Cocteau, (Diario di uno sconosciuto, 1952).
Jean Cocteau, (Diario di uno sconosciuto, 1952).
Un artista accidentale. L'occidentale Joachim Schmid ha reso il fortuito senza frontiere. Souvenirs, personale italiana alla galleria P420 di Bologna rende omaggio alla matrice più consistente della sua poetica: il viaggiare.
Un meta viaggio, un viaggio nel viaggio e nel medium della fotografia.
Critico fotografico, saggista, editore, già attivo nella scena tedesca dal 1980, nel 1982 fonda e autoproduce la rivista Fotokritic,
un vero manifesto-veicolo del suo pensiero e della sua ricerca. Ho
iniziato con una definizione ben precisa, artista accidentale. Una
definizione data da John S. Weber, uno degli autori del libro Photoworks 1982-2007 che ben analizza e illustra il lavoro di Schmid e della quale mi sono servita per una ricerca personale. Basically everything is worth looking at,
uno slogan che ancora di più racconta la volontà dell'autore, ops, no,
autore no. Schmid punta in maniera decisiva l'interrogativo sulla
questione della natura dell'autore e dell'intenzione artistica nella
"post-romantica e post-duchampiana tradizione occidentale".
Lo Schmid che apprezza August Sander e Robert Frank guarda alla
fotografia in una maniera del tutto personale, per alcuni impopolare,
qui non c'è interesse per la bella foto, la foto d'arte, classicismi, o
composizioni di ogni genere, "milioni di fotocamere, milioni di persone
che producono milioni di immagini" siamo ustionati, inglobati,
fagocitati, schiaffeggiati, oltraggianti, quasi beffati dalle nostre
stesse immagini, che impazzano a una velocità incontrollabile. Ecco
allora l'urlo della poetica che esplode come un ordigno sotto la neve:
"No new photographs until the old ones have been used up".
Occorre vedere anziché guardare. L'esercizio al quale siamo
richiamati è una presa di consapevolezza verso quello che già c'è, in
una guerra visiva che sembra non conoscere limiti. Nessun scopo
scientifico nessun scopo estetico. L'artista, anziché un collezionista
di immagini abbandonate, dimenticate, gettate, calpestate, si definisce
come un "gatherer" (che se nessuno conoscesse l'inglese suonerebbe come
una parola per definire quasi un gentiluomo). Ma gentiluomo
probabilmente lo è verso tutto quello che già esiste e non riesce a
trovare una dignità di attenzione.
Schmid assembla quello di cui ha bisogno e scarta il resto. Si
immerge in oceani di immagini altrui, di immagini OFF, di immagini
borderline, di immagini outsider, di immagini fuori. Tutto ciò ce lo
racconta la serie (che più ho amato) Bilder Von Der Straße dal
1982 per trent'anni l'artista ha raccolto tutte le fotografie che ha
trovato in luoghi pubblici, centinaia e centinaia di immagini tra 25
diversi Paesi e 123 città. Le found photographies sono state
montate su cartoncino. Ed ecco un affascinante susseguirsi di storie,
persone, interstizi di umanità, per un’archeologia in progress
dell'esistente. Le crepe, i tagli, l'usura del tempo che attraversa, e
logora, consuma, infrange, spezza, divide, erode, scompone l'immagine.
Tutto ciò regala un fascino unico davanti a quella moltitudine
accidentale. Altra definizione che ho gradito particolarmente nel saggio
di Weber relativa a Bilder Von Der Straße è stata quella di
paragonare questa serie al "Salon dea Réfusés, un anti-museo dei gettati
via, una spazzata archeologica attraverso le vie della vita
contemporanea".
Stephen Bull, altro autore del libro, intitola il suo saggio:
"l'autore elusivo". E Schmid ben rappresenta l'idea di un autore
evasivo, fuggevole, inafferrabile. L'artista gioca a nascondino. Come
già affermato da Weber: "Schmid fa esplodere la nozione di stile
personale e autore". Archiv (1986-1999) altra serie importante
in mostra. Qui Schmid recicla e gioca indagando in maniera analitica la
fotografia popolare internazionale attraverso il XX secolo. Polaroid,
fotografie di studio, cartoline, foto commerciali, foto di persone
scomparse, immagini prese dai giornali - successivamente raggruppate e
classificate con criteri di similitudine. Il progetto suggerisce una
tassonomia sulla fotografia popolare senza seguire un chiaro metodo di
classificazione, interrogandosi comunque su quest'ultima.
Joan Fontcuberta, fotografo, docente, saggista, curatore e scrittore
spagnolo definisce il lavoro di Schmid, un lavoro di "ecologia visiva".
Tra eccessi e saturazioni di immagini dobbiamo imparare a reciclare, "un
recupero nel complesso del residuo". Se le istituzioni e la storia
hanno da lungo ignorato certo tipologie di foto, Bilder Von Der Straße e Archiv con ironia, satira e un certo senso di assurdo reclamano e celebrano gli everyday pastimes and common desires.
Schmid curatore del trascurato, del dimenticato, dell'orfano. In Viaggio in Italia
del 2015 otto stampe a inchiostro pigmentato si susseguono. Sgranate,
non definite, i protagonisti che vi appaiono in forma pixelata sono i
non protagonisti per eccellenza, ovvero tutte quelle presenze umane
delle classiche cartoline. Ecco che allora il viaggio in Italia si
trasforma in un meta viaggio, un viaggio nel viaggio all'interno della
fotografia stessa. Schmid ci restituisce le note che nessuno legge. Security Check
del 1985-1987, otto scatti in bianco e nero del personale di sicurezza
scattate durante il controllo bagagli, ancora una volta, è palese
l'interesse non per fini estetici ma per processi e mezzi. Reseinfotografie
del 1984 è la raccolta delle immagini scorrevoli delle macchine
fotografiche gioco totali per turisti. Come per le cartoline, Schmid
pone alla nostra attenzione i meccanismi che può innescare
l'osservazione critica di tipologie fotografiche scontate e sbeffeggiate
come quelle prettamente turistiche, sottovalutate e banalizzate.
E infine Souvenirs, lo Schmid Flâneur, riunisce le
fotografie dei cucchiaini raccolti durante 25 anni di viaggi, di
aeroporti, di attese, di gusti e forme diverse. Osservando la mutazione
formale delle esili posate, mi torna alla mente il Viaggiatore solitario
di Tondelli, a volte si sfiorano le persone come si sfiora lo zucchero,
si gira intorno ad abbracci, abbandoni, storie, vissuti, come si gira
il caffè con il latte. Ad ogni modo Tondelli associò il viaggio
autunnale alla perdita di voce, al recupero del silenzio. Questa mostra è
un viaggio silenzioso tra la moltitudine dell'esistente, è come se
l'artista ci invitasse al silenzio. Basta produrre foto. Occorre vedere
quello che già c'è. Basta rumore. Un artista che mi azzardo a dire
pasoliniano, con la fiducia per un progresso che è visione consapevole.
Federica Fiumelli
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