Ecco l'ultimo articolo pubblicato per il nuovo numero di Frattura Scomposta.
(www.fratturascomposta.it)
Enjoy!
:)
EMILIO VAVARELLA
Dicono
che i giorni speciali nella vita di una persona sono pressoché pochi, qualche
anno fa, durante le lezioni di Estetica al Dams di Bologna mi capitò un
incontro molto speciale, tra le prime file dell’aula, a pochi posti dal mio,
scorsi un essere silenzioso, dai lineamenti particolari, come i pupi
siciliani..
Mi
ricordo ancora i fitti capelli neri color inchiostro e i contrastanti occhi
chiari, profondi, cristallini come il mare di Sicilia. Quella Sicilia che
Emilio Vavarella pur essendo un artista, un uomo, un vero cittadino del mondo
dall’anima cosmopolita e arcobaleno, porta sempre nel cuore. Un cuore
esploratore, un nomadismo intellettuale.
Ed è
Emilio Vavarella il nome che dovete segnarvi su qualche post-it che magari
avete sottomano, perché è un nome che merita particolare attenzione per lo
straordinario e interessante lavoro che svolge. Un artista che continua ad
arricchirmi di opera in opera, che non smette di stupire, che pone accenti su
situazioni contemporanee, che ama il proprio lavoro trasudante di passione,
studio, fatica e curiosità. Quella curiosità che insieme al rifiuto e
all’innovazione sono alla base di una resistenza intellettuale, tanto cara a
Foucault come allo stesso Vavarella.
Conoscerlo
è stato un vero dono ed è per questo che ritengo giusto scrivere sulla sua
poetica, una poetica che ci introduce sui sistemi di potere e sulle
potenzialità e non dei new media art.
Nato a
Monfalcone nel 1989, il giovanissimo artista nello statement sul proprio sito
Internet (che consiglio vivamente di guardare) www.emiliovavarella.com, spiega come per il suo lavoro siano stati
fondamentali gli studi sull’arte concettuale, digitale, sulla network culture e
le pratiche riguardanti i new media.
Laureato
con il massimo dei voti al Dams Arti
Visive di Bologna, sta conseguendo la specialistica allo IUAV di Venezia con una tesi magistrale su “Errore e Metamorfosi
nella New Media Art”.
“La
mia filosofia si basa particolarmente su una sorta di equilibrio tra resistenza
al Potere, attività online ed offline, finalizzata ad una produzione artistica
capace di generare strategie di resistenza intellettuale.” Afferma l’artista.
Le costruzioni di
resistenza intellettuale non sono che mediazioni di relazioni, e senza
relazione non vi può essere alcuna forma di Potere. E’ quindi questo di cui si
occupa l’artista Vavarella.
Ma in che modo? In
cosa consistono i suoi lavori?
Con un particolare
interesse all’estetica derivante dell’errore dei new media e con particolare
attenzione a un’arte di tipo relazionale, interattiva per il fruitore,
l’artista ci ha regalato opere come Ritratto condiviso, The Shape of
informations when nobody’s lookig, Concert for strings, The Google Trilogy, The
Sicilian Family, Digital Pareidolia, The Money Complex, e l’installazione di
Ponte Pirata.
Un bravo semiotico,
semantico camaleontico, attento agli aspetti, all’estetica, al funzionamento
del virtuale-digitale, tra strutture e significati, Emilio ci introduce nel
mondo che annusiamo tutti i giorni ma che non guardiamo con le dovute misure e
curiosità.
Vavarella, una saggia
guida del contemporaneo. Quindi lasciamoci prendere per mano per questi
paesaggi virtuali, ed ecco come l’artista presenta i lavori prima menzionati su
www.emiliovavarella.com.
“Ritratto Codiviso” del 2010-2011 prende avvio
da un mio ritratto fotografico realizzato dall’artista statunitense Barbara
Ganley, e si sviluppa seguendo una serie di domande sulle strategie di
visibilità ricercate dagli artisti e sulle possibilità di relazione ed
aggregazione offerte dalla rete. Ho chiesto a sessantaquattro persone di
realizzare qualcosa di creativo sopra un enigmatico tassello fotografico di
10×10 cm che avevo ritagliato dalla foto. Nessuno di loro conosceva il soggetto
da cui il tassello era stato ritagliato. Sessantaquattro microstorie alla
ricerca di visibilità si sono avvicinate fino a ricomporre il ritratto.
“The Shape of informations when
nobody’s looking” La forma delle
informazioni quando nessuno le guarda è il titolo di una
ricerca iniziata nel 2010 sulle possibili modalità di visualizzazione
alternativa di informazioni astratte (stringhe numeriche, racconti, brani
musicali, ecc…). Questo studio ha portato alla realizzazione di 50
dittici fotografici, alcuni sondaggi e due software: Color Count e Guardaflussi.
Color Count è basato sul sistema multipiattaforma Adobe Air e
permette di visualizzare stringhe di numeri crescenti o casuali sotto forma di
caselle colorate. L’elemento di partenza è una griglia numerica in cui ogni
casella contiene solo una cifra. Attraverso l’interfaccia
del software è possibile scegliere quale colore verrà associato a
ciascuna cifra; quindi ogni cifra verrà sistematicamente sostituita da una
casella del colore indicato.
Guardaflussi fotografa un processo informatico in atto, fornendo un’immagine dei
dati prima che essi acquisiscano sul monitor la loro forma finale. Ho
processato la mia collezione di mp3 ed eBook ottenendo immagini particolari: in
questo teletrasporto cangiante mi resta solo l’illusione del controllo. Non ho
possibilità di verifica sul processo.
Concert for strings, installazione e performance di
massa del 2012, rimane uno dei lavori dell’artista che più mi hanno colpita.
Parte dei progetti relazionali di Emilio, Concert for strings indaga la
manipolazione del comportamento tramite l’architettura.
L’artista
infatti scrive:
Chi stabilisce le grandi
architetture è spesso ben consapevole dell’effetto che avranno su chi le vivrà,
ma al contrario chi le vive è spesso ignaro di una influenza sul proprio
comportamento. Ho realizzato una tenda che segna l’ingresso dell’Università
Iuav di Venezia, un luogo che ha ospitato dal 1602 ad oggi anche il potere
ecclesiastico e militare. I fili della tenda si agganciano a chiunque passi
attraverso di essa, segnando in una performance di massa la traccia del
movimento di ciascuno all’interno dello spazio, mappandone il
comportamento, contrapponendo al tempo stesso la caoticità del movimento umano
alla staticità architettonica.
Perché
l’artista deve creare forme di resistenza intellettuali accessibili a tutti e
non elitarie.
The Google Trilogy comprende i seguenti lavori: Report a Problem, Michele’s story e The Driver
and the Cameras.
L’artista
li descrive:
La serie di 100 immagini digitali Report a problem è la prima parte del
progetto The Google Trilogy, che si focalizza sulla relazione tra umani, potere
ed errore tecologico. “Report a Problem” è il messaggio che compare in basso
nella schermata di Google Street View, e che permette di segnalare all’azienda
un problema di qualche tipo nella visualizzazione del luogo che si sta
virtualmente visitando: censure mancate, colori sbagliati, incongruenze,
apparizioni casuali. Ho viaggiato su Google Street View fotografando sul
monitor tutti i “paesaggi sbagliati” che ho incontrato, prima che altri utenti
riportassero il problema inducendo l’azienda ad aggiustare il paesaggio
sostituendo le foto errate. Paesaggi comuni vengono trasformati dagli
inaspettati errori tecnici di Google in qualcos’altro.

Per
quanto riguarda Michele’s story, Google Street View offre un immenso archivio
pubblico di immagini panoptiche, frutto di un’attività sistematica che ha
meccanicamente registrato stralci di vita evitando qualsiasi contatto umano con
i soggetti fotografati. Ho iniziato a lavorare su alcune di queste foto insieme
a Michele, un uomo che nel 2007 è rimasto quasi completamente paralizzato in
seguito ad un incidente automobilistico ed ha conseguito danni alla propria
memoria. La collezione di cento fotografie che ne è risultata è composta da
particolari presi da Google Street View e tenta di ricostruire un singolo
percorso umano recuperando stralci di vita collettiva, rubata e disumanizzata.

E infine The Driver and the cameras, Ogni auto di Google Street View è
equipaggiata con una fotocamera Dodeca 2360 dotata di undici obiettivi, capace
di fotografare a trecentosessanta gradi. Successivamente le foto vengono
assemblate creando una visione stereoscopica, ed un algoritmo elaborato da
Google offusca automaticamente i visi delle persone che vi compaiono, per
tutelarne la privacy. A volte però qualcosa non funziona, e alcuni volti
sfuggono all’algoritmo offuscatore. Per realizzare questa serie di undici
ritratti fotografici sono andato alla ricerca dei volti degli autisti delle
Google Cars. L’autista è una sorta di fantasma del potere, compare dove non
dovrebbe essere e la sua presenza è sfuggita alla censura. Il suo viso è
l’apparizione di uno sbaglio ed allo stesso tempo mostra il lato umano, e forse
i limiti, del potere tecnologico.
Abbiamo
quindi con questo lavoro la trasformazione in immagine dell’errore tecnologico,
sottolineando il rapporto tra l’uomo e la manipolazione invisibile del potere.
“The Sicilian Family” è l’opera che preferisco, qui
l’artista ha saputo mescolare passato, tradizione, memoria, con la tecnologia,
il virtuale, il digitale, coniugando anime diverse, inventando un modo per
innestare, trapiantare la propria memoria dentro il codice della fotografia,
modificandone l’essenza in maniera casuale.
Un’epifanizzazione
del virtuale tra ricordi e un’estetica tecno.
Questa installazione è composta da
44 elaborazioni digitali di vecchie foto analogiche appartenenti alla mia
famiglia, molte delle quali ritraggono dei miei parenti che sono morti prima
della mia nascita. Inizialmente ho deciso di scansionare ciascuna immagine per
preservarne la memoria dal deterioramento. Ho poi deciso di aprire ogni
fotografia con il Notepad, provando a visualizzarla come testo. I pixel di cui
era composta venivano così trasformati in codice alfanumerico ASCII. Tale
codice è una sequenza non intelligibile di caratteri che contiene tutte le
informazioni necessarie a ricreare l’immagine attraverso un software di
visualizzazione. Utilizzando Notepad ho scritto un mio racconto all’interno
della sequenza ASCII; basato su ciò che sono venuto a sapere della persona
ritratta. Il testo è in parte la memoria che mi è stata tramandata e in parte
ne è la mia interpretazione. Ho nuova-mente salvato il testo modificato in
formato JPG, forzandolo a ridivenire una immagine. Questo impone alle mie
memorie di convivere con l’immagine in modo imprevedibile, creando qualcosa di
diverso.


“Digital Pareidolia – A personal
index of Facebook’s erroneous portraits”
Durante l’operazione di
photo-upload Facebook utilizza la propria tecnologia di riconoscimento facciale
per suggerire all’utente il nome delle persone presenti nelle foto, creando un
database che associa immagini e dati personali. La stessa tecnologia viene
usata nella videosorveglianza allo scopo di collegare automaticamente
l’immagine di un volto all’identità di un soggetto (attraverso l’uso dei dati
biometrici). L’insieme di tecnologie di riconoscimento facciale,
social-networks e database informatici conduce alla figura della digital
persona, la quale sfugge spesso al controllo e alla conoscenza della persona
fisica e la cui influenza non è limitata ad una esistenza elettronica.
Nell’arco di quattro mesi ho caricato sul mio profilo Facebook tutte le foto
del mio archivio personale, 30.000 files acquisiti dal 2005 ad oggi. Questo è
l’equivalente delle foto che mediamente nel mondo vengono caricate su Facebook
ogni dieci secondi. Ho poi passato in rassegna ciascun suggerimento di
riconoscimento facciale elaborato da Facebook, andando in cerca di possibili
errori nel funzionamento della tecnologia usata dal social-network. Per 193
volte Facebook ha riconosciuto il volto di una persona lì dove non ve n’era uno
(quindi globalmente in media ad ogni secondo il riconoscimento facciale non
funziona 19 volte). Come se Facebook non fosse immune al fenomeno psicologico
della pareidolia: l’ossessivo riconoscimento di facce umane in oggetti comuni
che pare sia geneticamente legato alla sopravvivenza della specie in situazioni
di minaccia. Al posto di un viso veniva evidenziato qualcosa di apparentemente
casuale e banale: come una stoffa, una mano, una roccia o una pianta. Ho infine
realizzato un grande grafico ed un indice che analizza e organizza tutti gli
errori in un sistema coerente.

Ecco
anche in questo lavoro tornare la questione dell’errore nel tecnologico.
“The money complex”, Quest’opera esplora la relazione tra potere e denaro in un contesto
virtuale. Ho realizzato un complesso sistema che evidenzia i processi nascosti
tramite cui il Potere crea valore e denaro tramite l’uso di immagini e simboli.
Quante opere d’arte – dai dipinti all’architettura – sono usate per associare
al denaro parte del sistema di valori proprio dell’arte? Quanti Paesi hanno
bisogno di appropriarsi di immagini artistiche per formulare la propria
identità nazionale? E qual’è la risposta dell’arte a tutto questo? Nella
realizzazione dell’opera mi sono focalizzato su connessioni casuali e
irrazionali, usando analisi economiche tanto quanto interpretazione personali.
Il risultato è un’immagine del mondo che si sovrappone ad un intricato sistema
di connessioni e permette di formulare nuove idee tramite libere associazioni.
Recentissima
installazione site specific, quella di “Ponte
Pirata”, altra importante opera di arte relazionale.
Ponte Pirata è un’installazione
site specific composta da un assemblaggio di migliaia di fotografie di opere
d’arte realizzate dagli artisti che si trovano in cima al sistema dell’arte
contemporanea. Chiunque poteva appropriarsi di una o più foto durante la Festa,
trasformando l’installazione fino alla sua scomparsa.Ogni foto di cui ci si è
appropriati è divenuta parte di un regalo collettivo e diffuso. L’opera intende
coniugare idee di relazionalità “classica” con modalità del fare derivate dalle
pratiche virtuali contemporanee, come pirateria informatica e free sharing.
Un uomo,
un artista attento al proprio tempo, ai meccanismi che ne scaturano il fascino,
una persona di cui ho profonda stima e da cui spero di imparare ancora tanto.
Grazie
Emilio.
Federica Fiumelli