Così cantava John Lennon nel 1971, nel video insieme alla sua amata Yoko Ono.
Donna dai misteri e profumi esotici ed orientali, grande artista del Novecento, portatrice sana di una smaterializzazione concettuale dell’universo, artista all’avanguardia da sempre.
Figlia di benestanti giapponesi, da subitola Ono, intraprese relazione con il mondo dell’arte.
L’incontro con Lennon non a caso avvenne in una galleria newyorkese durante una mostra della stessa. I caldi anni sessanta vedono la Ono protagonista di numerose e significative produzioni artistiche. Nel 1964 diede vita ad unaperformance che ha tutti i diritti di annoverarsi tra le più importanti della storia, Cut Piece, vede la Ono protagonista in una stanza vuota inizialmente vestita, nell’evolversi della situazione, i partecipanti potranno interagire con la stessa attraverso un atto altamente simbolico come quello di tagliare i vestiti indossati.
Attraverso interventi di questo tipo l’artista ha sempre voluto risvegliare la mente della gente, ridestarli dal torpore dell’usuale, dell’ordinario, del quotidiano e del senso comune.
“Metti su nastro il suono delle stelle in movimento. Non ascoltare il nastro. Tagliuzzalo e dallo alla gente in strada.” Oppure, “Ascolta il suono della terra che gira” e ancora “Ridi per una settimana” o “Fuma tutto ciò che puoi. Compresi i tuoi peli pubici.”
Ambiente, cosmo, smaterializzazione, pensiero, leggerezza, condivisione.
Tra quest’ultimi posso esplicitamente in prima persona collocarmi, sentendomi come gli altri parte di operazioni artistiche recenti come Smiles Film o ilwebsite event 100acorns fresco fresco di pochi giorni fa, attraverso il quale su Instagram, tramite illustrazioni in bianco e nero, ripropone Grapefruit, con consigli come: Summer. Imagine a dolphin dancing in the sky. Let it damce with joy. Think of yourself at the bottom of the ocean watching. Mage a group of dolphins dancing in the sky. Blow kisses to them in your mind.
Piace a 70 persone. Commenti, confronti, la people that imagine all is possible, in situazioni paradossali aprendo la mente senza ogni tipo di paracadute, segue l’artista.
Con affetto e amore la Ono, rimane in contatto con i suoi stimatori, attraverso la parola chiave Imagine, tanto cara anche a Lennon.
“Io amo questa donna!” E’ stato il primo pensiero che ha accampato la mia mente mentre sul web quest’estate mi sono imbattuta nella notizia.
La partecipazione è delle più semplici, occorre caricare la foto di un sorriso, vostro, o di persone che conoscete, suInstagram o Twitter con il tag #smilesfilm.
Tutti e dico tutti, nessuno escluso, anche tu, curioso lettore che stai leggendo per caso queste righe e non ne sapevi niente prima, puoi esserci.
La relatività pirandelliana ci lascia libero arbitrio, lasciando alle persone di decidere se amare o dubitare delle intenzioni dell’artista.
E stavolta con un consiglio al giorno volenteroso di togliere da torno qualsiasi ipotetico medico, e con un sorriso (ammontano attualmente a 12.117 i sorrisi raccolti), Yoko ci spinge a volare lassù nel blu dipinto di blu, a immaginare la pace.
La street art firmata Vermibus e Abraham
Canterò le mie canzoni per la strada | ed affronterò la vita a muso duro | un guerriero senza patria e senza spada | con un piede nel passato | e lo sguardo dritto e aperto nel futuro. | E non so se avrò gli amici a farmi il coro | o se avrò soltanto volti sconosciuti | canterò le mie canzoni a tutti loro | e alla fine della strada | potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.
di Federica Fiumelli. Prendiamo queste incisive parole del grande cantautore italiano
Pierangelo Bertoli, teniamo a mente, la parola
strada, e lo
sguardo dritto e aperto nel futuro.
Prendiamo una cartina geografica, poil’Europa, poi la Germania e la Francia.
A volte ci sono fili trasparenti che partono da lontano, fanno giri immensi e poi legano cose, persone, idee apparentemente distanti ma straordinariamente vicine.
Se Kerouac sosteneva che la strada era lì e bisognava andare, occorreva andare, spostarsi, muoversi, ecco questo breve trip tra queste righe, in questo articolo, si dispiegherà lungo le strade di alcune città, incluse quelle italiane, alla ricerca di stimoli, di nuovi occhi, grazie a due interessanti artisti europei che operano in maniera molto simile.
Fil rouge sarà la tanto chiaccherata e discussa street art, arte pubblica, sociale, quella che tutti ma proprio tutti possono incontrare semplicemente passeggiando per le strade; illegale? Brutta? Inutile?
Personalmente credo che ci sia ben altro che rispecchi questi quesiti, quello che è certo è che la strada è il primo spettacolo che abbiamo, senza pagare alcun biglietto, un teatro urbano il teatro della strada, un museo a cielo aperto.
Clet Abraham, artista francese, nato in Bretagna, ha viaggiato molto in Italia e non a caso ha il proprio studio a Firenze, dove passeggiando per le strade, alla vista di ordinari cartelli stradali si può notare qualcosa di nuovo. L’artista si definisce sticker street artist, i suoi intereventi infatti non comportano danni o eccessive modifiche, si tratta semplicemente di sticker applicati ai normali cartelli.
Siamo costantemente e quotidianamente sottoposti a normalizzazione e standardizzazione, la volontà d queste operazioni quindi è quella di riportarci ad uno stato di straniamento mentale.
Si vuole vestire di nuovi colori e sensazioni estetiche la vecchia e impolverata routine. Se, soprattutto in Italia, non si è potuto farlo negli ultimi vent’anni in politica almeno in strada, l’arte si impone nella sfera pubblica e sociale, e anche da esempi europei, possiamo prendere spunto, per comprendere che cambiare qualcosa che sembra immune si può, e bisogna crederci.
In un intervista Abraham dice che per street art si poteva intendere anche il David di Michelangelo ai suoi tempi, visto che, se tutta l’arte è contemporanea del proprio tempo, anche Michelangelo voleva dire qualcosa attraverso un’opera pubblica.
L’artista francese in un’altra intervista, afferma che i cartelli stradali, sono simboli di un’autorità cieca, obbligano, impongono, dirigono, sbarrano, vietano; occorre che l’arte costruisca un senso civico critico e responsabile, non dobbiamo andare di là perché dall’altra parte ce lo vietano, non dovremmo andare di là perché dovrebbe essere il nostro buon senso a capirlo.
Ed ecco, il restyling ironico e pungente, cristi, omini, diavoletti, popolano i cartelli esaltandone il significato.
Il divieto di accesso, diventa una pesante sbarra che un omino chinato deve portare, le due frecce diventano gambe di un corridore diabolico dal corpo geometrico, quasi alla Oscar Schlemmer.
Un restyling non cambia totalmente quello che è presente, lo altera, lo modifica con l’intento di stupire, di un different whatching.
Continuiamo a camminare per la strada, arriviamo fino a Berlino.
Un nome, Vermibus, ma anche un parametro estetico e si capirà perché.
Ed ecco, che scende la notte, un ragazzo incappucciato, si aggira per le strade tiepidamente illuminate, fredde e addormentate, con una bicicletta. Si avvicina ad alcuni manifesti pubblicitari, pressoché di moda, li stacca, li rotola e se li porta via. A che scopo?
Tornato nella sua officina, ecco che inizia il restyling, un salone di bruttezza più che di bellezza, anche la Sherman approverebbe (vista la personale parabola nell’ambito della moda, attraverso travestimenti orrorifici e grotteschi) benzina, acetone e diluente, e taaac, l’urlo di Munch urlerebbe, ma dalla gioia di scorgere altri simili, da super modelle come Kate Moss ecco venirne fuori dei mostricciatoli, delle masse ibride, tra pittorico e fotografico, dove la pennellata centrifuga di Van Gogh di una Notte Stellata, ne sarebbe attratta.
Movimento inquieto, espressionista, che rompe gli schemi e i confini, i volti, la pelle sono cancellati, modelle alla Bacon, una nuova ricetta che passa da promettenti sogni di moda a destabilizzanti, perturbanti, turbati incubi. E’ il tripudio del disfacimento della carne, tutto è groviglio, impasto, centrifuga sembrano comparire solo fibre muscolari-pittoriche, quasi come tantivermicelli.
L’effetto di straniamento e inciampo è riuscito. Altro che shampoo.
L’artista berlinese scippa le sue top-victim e le ripropone con un restauro altamente corrosivo, apportando una modifica, un restyling in quel luogo visivo certo come è il cartellone pubblicitario, promessa di sogni di (vana) gloria e bellezza.
Sul sito dell’artista, attraverso un video caricato on Vimeo, è documentato tutto il lavoro.
Open walls in open minds.
Cammini per la strada, e paam, ecco che inciampi, il solito scalino invisibile, ti spettavi di vedere la solita ultra bellissima top che con sorriso smagliante e aria ammiccante promuove l’ultimo capo Chanel, e invece no, te la ritrovi letteralmente mostrificata, in preda al grido e al terrore.
Anche Schiele avrebbe apprezzato, sorridendo penso che un mi piace lo avrebbe messo.
E voi? Condividete?
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MARZO 27, 2013POSTED IN: # 13, FEDERICA FIUMELLI
L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene.
Così il tempo presente.
Leonardo da Vinci, Codice Trivulziano, 1487-90
di Federica Fiumelli. L’acqua come sinonimo di tempo, l’acqua come rinascita, come purificazione, come catarsi, come riflesso e specchio di Narciso.
L’acqua è da sempre stata fonte di ispirazione per l’uomo dall’antichità ad oggi, dal mito ai lavori contemporanei, le installazioni-video di Bill Viola.
Se avete qualche post-it vuoto sulla scrivania e siete capitati tra queste righe, appuntatevi il nome di Christy Lee Rogers.
Fotografo autodidatta hawaiano, lavora soprattutto in America dove vive, ma le sue fotografie hanno letteralmente fatto il giro del mondo, finendo anche in alcune collezioni private.
Scoperti per puro caso, sono inciampata negli scatti di Lee Rogers e non ho potuto fare a meno di apprezzare questo interessante artista che fotografa esclusivamente in acqua e di notte.
Guardando di primo impatto le foto, non si può non pensare ai grandi maestri del Rinascimento.
Le forme, le muscolature, le luci, l’evanescenza dei panneggi, la composizione strutturale e l’impatto fortemente teatrale ci prendono per mano e ci riconducono nella galleria della memoria della storia dell’arte, ed ecco apparirci come costellazioni i nomi dei grandi come Caravaggio, Michelangelo o Pontormo.
Le fotografie dalla resa sicuramente contemporanea anche per la tecnica utilizzata diventano splendidi innesti che ci riportano al passato.
Reckless Unbound, Odyssey, Siren, i titoli delle collezioni.

Figure anonime, penitenti con le braccia aperte e libere, grovigli di corpi dai fisici pallidi e scultorei, panneggi serpentini dai colori tenui e caramellati, zuccherati, manieristi, in cui dominano astrattezza e fantasia; le figure di Lee Rogers si confondono, nascono e finiscono, fluttuano senza peso e senza memoria come dopo un naufragio shakespeariano, riemergono dalle loro stesse tragedie, rinascendo nell’acqua, come segno primordiale, corpi che ritornano alla fase di pre-nascita, in liquido embrionale. La fenice rinasce dalle proprie ceneri.
Tutto è fuori tempo e fuori spazio, la non dimensione, il non luogo, il non esserci, l’altrove di Lee Rogers si propone al nostro sguardo con astrazione delle forme ma con elegante e sapiente teatralità del gesto che sembra perdersi per sempre nelle acque dell’universo.
Come Bonami scrisse nel suo libro “Lo potevo fare anch’io”, l’astrazione è all’origine della nascita delle cose, la confusione, il groviglio il caos materico e formale che si intreccia in un morboso atto d’amore nelle opere di Lee Rogers, è posto prima di tutto, prima della definizione, e prima della creazione stessa.
Splendidi seni, rotondità, gambe e toraci, sono sospensioni di corpi dell’altrove, di semi-dei maledetti, carni nude bianche e rosee, degne della Venere di Urbino di Tiziano.
Veneri erranti e contemporanee quelle di Lee Rogers.
Nella serie Siren, i corpi femminili diventano un tutt’uno di trasparenze medusine, nello scatto Argetina, per esempio, il corpo e il velo si intrecciano formando una scia di fumo, quasi ul alga grigia e preziosa. I corpi danzano nel liquido, riemergendo e scomparendo, celandosi dietro l’apparenza. E poi gli insiemi dei corpi, gruppi di anime che si intersecano come schemi, tra veli bianchi, blu, rossi, che fanno quasi eco alla bandiera gloriosa della Libertà che guida il popolo a seno di nudo di Delacroix.

Gli scatti di Lee Rogers, diventano dei tableaux-vivant senza posa, sbiaditi dalle onde centrifughe e inarrestabili dell’acqua, dove il caso strappa al definito.
Le presenze diventano comparse, sono i qualunque senza contorni certi; i colori pastello acquerellati gravitano nell’assenza, e rassicurano lo sguardo confondendo le forme. Le muscolature e la passione irruenta di Caravaggio viene prosciolta e liberata in fredde acque gelide o in calde acque tropicali, a seconda dei vostri gusti.
I panneggi filanti ripescano nella memoria anche le movenze farfalline dell’attrice teatrale e ballerina statunitense Loie Fuller, le danze serpentine vengono congelate anche esse nell’attimo del fotografico.
Tutto è movimento, tutto è caduco, tutto svanisce nella bellezza della forma che ritorna astrazione.
Tutto è un grido soffocato nel grande acquario della vita, note sorde e mute, il silenzio come nei 4.33 minuti di John Cage. Il rumore della vita è forse quello del movimento acquatico.
E chissà se i protagonisti di Lee Rogers, riemergeranno delle acque come il volto nel video No Surprises dei Radiohead, rovesceranno il Governo che non parla per noi e per loro, guariranno le loro ferite, e supereranno il naufragio. Silenzio.
A heart that’s full up like a landfill
A job that slowly kills you
Bruises that won’t heal
You look so tired and unhappy
Bring down the government
They don’t, they don’t speak for us
I’ll take a quiet life
A handshake of carbon monoxide
No alarms and no surprises
No alarms and no surprises
No alarms and no surprises
Silent, silent
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MARZO 27, 2013POSTED IN: # 13, FEDERICA FIUMELLI
Le luci e le ombre di una donna d’amare chiamata Sicilia
Ieri ho sofferto il dolore,
non sapevo che avesse una faccia sanguigna,
le labbra di metallo dure,una mancanza netta d’orizzonti.
Il dolore è senza domani,
è un muso di cavallo che blocca
i garretti possenti,
ma ieri sono caduta in basso,le mie labbra si sono chiuse
e lo spavento è entrato nel mio petto
con un sibilo fondo
e le fontane hanno cessato di fiorire,
la loro tenera acqua
era soltanto un mare di dolore
in cui naufragavo dormendo,
ma anche allora avevo paura
degli angeli eterni.
Ma se sono così dolci e costanti,
perchè l’immobilità mi fa terrore?
(Alda Merini)
di Federica Fiumelli. Poi un’immagine di donna dai capelli rossi, i capelli rossi delle muse preraffaellite, e una Leica al collo, al posto degli occhiali, ma è quella macchina fotografica la vera estensione di quello sguardo.

Lo sguardo di Letizia Battaglia.
Facendo zapping televisivo dettato dalla noia che probabilmente i palinsesti della tv di tanto in tanto propinano mi sono imbattuta in uno speciale di Rai Educational dedicato alla fotografa siciliana.
E’ stato impossibile distogliere l’attenzione fin da subito, il fascino che emanava la voce ruvida di quella donna dall’energico caschetto rosso, la passione con la quale faceva vibrare le parole dei suoi racconti, racconti alternati da fascinosi tiri di sigaretta, racconti di dolore, il dolore legato all’amore amaro (non a caso il titolo dell’ultimo speciale dedicatole su SKYarte) per la sua Palermo.
Classe 1935 Letizia Battaglia iniziò a collaborare per il giornale l’Ora e altre riviste, fotoreporter di una Palermo di piombo, i suoi scatti riportano immagini terribili e agghiaccianti, delitti, vittime e fiumi di sangue versati dalla cicatrice del volto siciliano, la mafia.
La patria di arte importante come il teatro dei pupi, le vastasate, Pirandello e Sciascia, negli anni Settanta divenne teatro degli orrori assurdi, di stragi umani dettate dall’impossibilità di comunicazione e dalla sola voglia di potere.

Davanti a tutto ciò la Battaglia soffrì il dolore, lo stesso dolore chela Merini diceva di essere mancanza di orizzonti, perché non si può scorgere un bel futuro davanti a tanto orrore ed ingiustizia, a tanta morte e assurdità.
Gli scatti della fotogiornalista siciliana sono elusivamente in bianco e nero, in un’intervista dice di non amare i colori nelle foto, e così la dicotomia tra bene e male, tra luce e oscurità si trova protagonista di una resa narrativa interessante. Gli scatti diventano pagine di storia di un’Italia che sta male, pagine in bianco e nero, gli sguardi dell’artista che tutt’ora ci parlano e ci costringono a una dolorosa riflessione, in silenzio. Bambini dagli occhi tristi, donne disperate, delitti, corpi senza vita, stradine caratteristiche, mercati, i mille volti di Palermo.
Molte volte la stessa Battaglia ha affermato in alcune interviste di aver voluto bruciare, di aver voluto disfarsi di tutte quelle immagini martorianti, di quelle visioni entrate nella sua mente e nel suo cuore con prepotenza, la volontà di cancellare il suo esser stata lì, testimone di un continuo teatro di morte e scandali.
Nonostante sia stata pluripremiata in tutto il mondo dall’Europa all’America con riconoscimenti molto importanti come il premio Eugene Smith, il suo cuore, i suoi occhi sono legati a Palermo, a quella città complessa e delicata, piena di contraddizioni e debolezze, semplice e umile, come una bella donna da essere amata. Quelle strade, quella gente, quei bambini, quelle donne, i mercati, il mare, leganola Battaglia alla terra siciliana.
E’ un amore difficile, amaro, aspro come i limoni di Sicilia, che bruciano gusti e visioni, ma un amore che se levigato da uno sguardo poetico acquista valore nella memoria del domani.

Negli ultimi anni, i lavori che rubano definitivamente il mio interesse, sono opere di mescolamento, la Battagliainserisci splendidi corpi di nudi femminili nelle foto antecedenti, nelle foto dove protagonista era la morte, la mafia. Ed ecco spostare il punctum dallo ieri, all’oggi, l’artista vuole porre l’accento su una femminilità genitrice di vita, pura, sull’eros, sulla bellezza, sulla vita.Un amore nonostante tutto. I suoi scatti sono importanti per non dimenticare l’orrore, la violenza, la brutalità, la povertà delle scaltre intenzioni, per non essere indifferenti alla società; che non si può far finta di niente, non si può non riflettere, non si può non sapere, non si può non pensare, non si può non fermarsi davanti a un realtà che ci appartiene, perché la realtà come la storia è un bene di condivisione.
Ed ecco che nelle ultime foto, il bianco e nero non diventa l’unico contrasto, ma bensì la contrapposizione temporale, l’inserimento di bellissime donne nude in scene di cruda storia, portatrici una sofferta speranza, alimentano la dicotomica luce e ombra di male e bene.
Innesti di corpi nudi incontaminati fanno irruzione nella corruzione, nel dramma denominato mafia.
Ed ecco in primo piano una donna bagnata dalle lacrime di pioggia e sullo sfondo uno dei nostri orgogli italiani, Giovanni Falcone.
“Lascia, lascia la vanità, ti dico lasciala, ma avere fatto in luogo di non avere fatto, questa non è vanità”, questa frase di Ezra Pound l’artista dice di esserle scolpita nel cuore. “L’errore sta tutto nel non fatto, sta nella diffidenza che tentenna.”
Un’artista ma anche una donna impegnata socialmente e politicamente, “tutto quello che faccio è politica, quello che mangio, come mi vesto, sono legata a un’idea politica di democrazia e di giustizia” dice in un’intervista. Non ci si può esimere dalla politica quindi, diffidiamo dagli analfabetici politici come scriveva anche Brecht, l’appello è quindi quello di evitare l’indifferenza soprattutto in questo periodo che vede un’Italia in crisi e ingovernabile.
Fondatrice di Mezzocielo,la Battaglia ha sempre omaggiato la figura della donna, fiera di esserlo, vede nella donna, la propensione la cambiamento, e gli ultimi lavori lo dimostrano.
Allora chiudiamo con l’immagine di una donna con i seni nudi nel mare di Sicilia, con dietro anch’essa immersa nell’acqua la stampa della fotografia di un bimbo dal volto coperto con in mano una pistola, la poesia del mescolamento nei mari mediterranei ha in sé disperazione, speranza e un amore amaro, sembra quasi sentire cantare Janis Joplin, cry baby, note ruvide e bagnate come il mare, come le lacrime.